Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 16 Novembre 2010 , n. 23095
Le Regioni devono predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose. Non solo. Nell’ipotesi di danno provocato da fauna selvatica e il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, l’ente territoriale può essere chiamato a rispondere ex art. 2043 c.c.
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 23095 depositata il 16 novembre 2010 - ha respinto il ricorso della Regione contro la sentenza del giudice di merito, secondo la quale la responsabilità del sinistro, causato da un grosso cinghiale che aveva repentinamente attraversato la strada, era addebitale alla Regione Toscana e alla Provincia di Grosseto per violazione del precetto del neminem laedere ex art. 2043 c.c..
Secondo i giudici di legittimità, l’art. 1 della legge n. 157/1992 dispone che “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”.
La norma prevede anche che le Regioni a statuto ordinario devono emanare disposizioni relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie selvatiche.
Infine, la S.C. sostiene che “per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria è costituito a cura di ogni Regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti”.
mercoledì 29 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
Danni estetici, niente risarcimento se la cicatrice non incide sull’attività lavorativa
Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 12 Ottobre 2010 , n. 21012
In tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, qualora provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21012, depositata lo scorso 12 ottobre.
In seguito ad un incidente stradale, la vittima chiedeva il risarcimento del danno estetico, indipendente da quello biologico, in relazione ad una lesione micropermanente, tuttavia, negata dal Tribunale adito trattandosi di una cicatrice di ridottissime dimensioni destinata a divenire meno visibile con il passare del tempo.
In cassazione, il ricorrente sostiene che il giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, limitandosi ad offrire una propria valutazione in ordine all’inesistenza di postumi permanenti di natura invalidante, poiché aveva considerato solo la cicatrice, senza tener conto delle conseguenze derivate dal “colpo di frusta”.
La S.C. rigetta il ricorso: il Tribunale aveva preso in considerazione tutte le conseguenze derivate dall’incidente (limitazione funzionale del rachide e cicatrice alla fronte), valutate dal c.t.u. come postumi permanenti nella misura del 5%, ed ha ritenuto che il danno biologico potesse essere liquidato in via equitativa, senza ricorrere alle tabelle previste per postumi permanenti di maggiore gravità.
In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (“micropermanenti”) che non si traducono in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno da lucro cessante è configurabile solo se sussistano elementi concreti che inducano a ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico.
Infine, relativamente al danno estetico, gli ermellini ribadiscono che “in tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico, (nella specie, valutati complessivamente come danno biologico permanente del 5%), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta “micropermanente” sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare”.
SCARICA LA SENTENZA
In tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, qualora provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21012, depositata lo scorso 12 ottobre.
In seguito ad un incidente stradale, la vittima chiedeva il risarcimento del danno estetico, indipendente da quello biologico, in relazione ad una lesione micropermanente, tuttavia, negata dal Tribunale adito trattandosi di una cicatrice di ridottissime dimensioni destinata a divenire meno visibile con il passare del tempo.
In cassazione, il ricorrente sostiene che il giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, limitandosi ad offrire una propria valutazione in ordine all’inesistenza di postumi permanenti di natura invalidante, poiché aveva considerato solo la cicatrice, senza tener conto delle conseguenze derivate dal “colpo di frusta”.
La S.C. rigetta il ricorso: il Tribunale aveva preso in considerazione tutte le conseguenze derivate dall’incidente (limitazione funzionale del rachide e cicatrice alla fronte), valutate dal c.t.u. come postumi permanenti nella misura del 5%, ed ha ritenuto che il danno biologico potesse essere liquidato in via equitativa, senza ricorrere alle tabelle previste per postumi permanenti di maggiore gravità.
In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (“micropermanenti”) che non si traducono in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno da lucro cessante è configurabile solo se sussistano elementi concreti che inducano a ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico.
Infine, relativamente al danno estetico, gli ermellini ribadiscono che “in tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico, (nella specie, valutati complessivamente come danno biologico permanente del 5%), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta “micropermanente” sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare”.
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venerdì 5 novembre 2010
Moglie e figlie non coinvolte nel sinistro stradale sono persone danneggiate
Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 28 Settembre 2010 , n. 20350
In caso di sinistro stradale, oltre alla vittima, vanno considerate come persone danneggiate anche per i familiari più stretti che abbiano subito direttamente un danno, patrimoniale o non, dalla morte del congiunto
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 20350, depositata il 28 settembre 2010 – ha accolto dalla S.C. il ricorso proposto da moglie e figlie della vittime di un incidente stradale in materia di risarcimento danni.
Al riguardo, i giudici di legittimità ricordano che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e di natanti, relativamente ad un fatto antecedente al 1° maggio 1993, per persona danneggiata, ai sensi dell’art. 21 della l. n. 990/1969, devono intendersi non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell’ambito del massimale previsto per ogni singola persona. Il limite del risarcimento è invece, distintamente per ciascun danno, quello previsto per ogni persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (c.d. massimale catastrofale).
Nella fattispecie in esame, osserva il Collegio, il limite del risarcimento non è pertanto quello previsto per una sola persona danneggiata, ma è, distintamente per ognuna di esse, quello previsto per ciascun danneggiato e conseguentemente quello catastrofale.
In caso di sinistro stradale, oltre alla vittima, vanno considerate come persone danneggiate anche per i familiari più stretti che abbiano subito direttamente un danno, patrimoniale o non, dalla morte del congiunto
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 20350, depositata il 28 settembre 2010 – ha accolto dalla S.C. il ricorso proposto da moglie e figlie della vittime di un incidente stradale in materia di risarcimento danni.
Al riguardo, i giudici di legittimità ricordano che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e di natanti, relativamente ad un fatto antecedente al 1° maggio 1993, per persona danneggiata, ai sensi dell’art. 21 della l. n. 990/1969, devono intendersi non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell’ambito del massimale previsto per ogni singola persona. Il limite del risarcimento è invece, distintamente per ciascun danno, quello previsto per ogni persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (c.d. massimale catastrofale).
Nella fattispecie in esame, osserva il Collegio, il limite del risarcimento non è pertanto quello previsto per una sola persona danneggiata, ma è, distintamente per ognuna di esse, quello previsto per ciascun danneggiato e conseguentemente quello catastrofale.
martedì 19 ottobre 2010
Sinistro stradale, danno da perdita di chance, onere della prova
Cassazione civile , sez. III, sentenza 28.09.2010 n° 20351
Qualora a seguito di un sinistro stradale, il danneggiato lamenti e richieda la liquidazione del danno da perdita di chance, ovvero da perdita della futura capacità di guadagno, deve al tal fine fornire la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 07 luglio - 28 settembre 2010, n. 20351
(Presidente Varrone - Relatore D’Amico)
Svolgimento del processo
G. D. P. e M. L., in qualità di legali rappresentanti del figlio minore A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, A. M. e la compagnia di assicurazioni Phenix-Soleil s.p.a., ora Gan Italia s.p.a., per sentir dichiarare l’esclusiva responsabilità del medesimo convenuto in ordine all’incidente stradale nel quale il minore era stato investito dall’auto del M..
Si costituiva la compagnia assicuratrice contestando la domanda dei D. P. mentre veniva dichiarata la contumacia di A. M. che si costituiva poi con domanda riconvenzionale.
Il Tribunale dichiarava che il sinistro era avvenuto per colpa dell’attore nella misura del 70% e del convenuto nella misura del 30% e condannava quindi la Phenix Soleil al risarcimento dei danni in favore dell’attore; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannava G. D. P. e M. L. al risarcimento dei danni in favore di A. M..
Proponeva appello A. D. P. chiedendo che la responsabilità del sinistro del quale era rimasto vittima venisse imputata esclusivamente ad A. M. e che la Phenix Soleil fosse condannata a pagargli l’ulteriore somma di L. 136.819.459.
Si costituivano gli appellati chiedendo che il D. P. fosse dichiarato unico responsabile del sinistro e tenuto a restituire la somma di L. 21.363.000 oltre accessori, corrisposta dalla compagnia assicuratrice in esecuzione della sentenza di primo grado e, in accoglimento della domanda riconvenzionale del M., fosse condannato all’integrale risarcimento.
La Corte d’Appello di Bologna confermava l’attribuzione della responsabilità alle parti come determinata dal Tribunale; respingeva perché domanda nuova inammissibile in secondo grado quella dell’appellante volta ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente in quanto non specificamente richiesta in primo grado; escludeva la riduzione del 10% a titolo di scarto fra vita fisica e vita lavorativa; dichiarava inammissibile la riconvenzionale del M.; confermava la statuizione di primo grado nella valutazione del sinistro e nell’esclusione del danno morale.
Proponeva ricorso per Cassazione il D. P..
Questa Corte riconosceva a costui il danno morale e il danno patrimoniale e rinviava gli atti alla Corte d’Appello di Bologna.
D. P. riassumeva il processo nei confronti della Gan Italia s.p.a. (già Phenix Soleil s.p.a.) e di A. M.. Si costituiva soltanto la compagnia assicuratrice.
La Corte distrettuale, pronunciando in sede di rinvio dalla Suprema Corte (sentenza n. 3625/97) sull’appello proposto da A. D. P. avverso la sentenza del 9.3.1990 n. 349 del Tribunale di Modena, condannava la Gan Italia s.p.a. a rifondere all’appellante la metà delle ulteriori spese processuali.
Proponeva ricorso per cassazione A. D. P. formulando due mezzi d’impugnazione.
Motivi della decisione
Con i due mezzi di impugnazione, da esaminare congiuntamente attesane l’intrinseca connessione, parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo e controverso del risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e di prova dello stesso nel caso di grave menomazione psico-fisica riportata da un minore in età della scuola dell’obbligo e, quindi, prelavorativa (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.)»; 2) «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 primo comma, n. 1 c.p.c.)».
Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza sia perché ha negato la perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno; sia perché ha fatto propria la c.t.u., ritenuta insoddisfacente; sia perché ha negato che lo stesso A. D. P. sia rimasto pregiudicato nelle sue chances future. Per altro verso critica la suddetta sentenza per aver violato il diritto alla tutela della salute della vittima e al risarcimento dei danni.
Entrambi i motivi sono infondati.
Ha infatti accertato l’impugnata sentenza, sulla scorta della C.t.u., che la vittima ha iniziato la propria attività lavorativa all’età di sedici anni; che è attualmente idonea al lavoro; che esercita un’attività lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilità manuale; che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacità lavorativa attuale; che non ha subito o subirà una perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno.
Tali rilievi, attinenti al merito della decisione, sono insuscettibili di critica in sede di legittimità, in presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.
Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non è stata riconosciuta perché non è stata fornita la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarità della fattispecie e delle vicende processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione.
Qualora a seguito di un sinistro stradale, il danneggiato lamenti e richieda la liquidazione del danno da perdita di chance, ovvero da perdita della futura capacità di guadagno, deve al tal fine fornire la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 07 luglio - 28 settembre 2010, n. 20351
(Presidente Varrone - Relatore D’Amico)
Svolgimento del processo
G. D. P. e M. L., in qualità di legali rappresentanti del figlio minore A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, A. M. e la compagnia di assicurazioni Phenix-Soleil s.p.a., ora Gan Italia s.p.a., per sentir dichiarare l’esclusiva responsabilità del medesimo convenuto in ordine all’incidente stradale nel quale il minore era stato investito dall’auto del M..
Si costituiva la compagnia assicuratrice contestando la domanda dei D. P. mentre veniva dichiarata la contumacia di A. M. che si costituiva poi con domanda riconvenzionale.
Il Tribunale dichiarava che il sinistro era avvenuto per colpa dell’attore nella misura del 70% e del convenuto nella misura del 30% e condannava quindi la Phenix Soleil al risarcimento dei danni in favore dell’attore; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannava G. D. P. e M. L. al risarcimento dei danni in favore di A. M..
Proponeva appello A. D. P. chiedendo che la responsabilità del sinistro del quale era rimasto vittima venisse imputata esclusivamente ad A. M. e che la Phenix Soleil fosse condannata a pagargli l’ulteriore somma di L. 136.819.459.
Si costituivano gli appellati chiedendo che il D. P. fosse dichiarato unico responsabile del sinistro e tenuto a restituire la somma di L. 21.363.000 oltre accessori, corrisposta dalla compagnia assicuratrice in esecuzione della sentenza di primo grado e, in accoglimento della domanda riconvenzionale del M., fosse condannato all’integrale risarcimento.
La Corte d’Appello di Bologna confermava l’attribuzione della responsabilità alle parti come determinata dal Tribunale; respingeva perché domanda nuova inammissibile in secondo grado quella dell’appellante volta ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente in quanto non specificamente richiesta in primo grado; escludeva la riduzione del 10% a titolo di scarto fra vita fisica e vita lavorativa; dichiarava inammissibile la riconvenzionale del M.; confermava la statuizione di primo grado nella valutazione del sinistro e nell’esclusione del danno morale.
Proponeva ricorso per Cassazione il D. P..
Questa Corte riconosceva a costui il danno morale e il danno patrimoniale e rinviava gli atti alla Corte d’Appello di Bologna.
D. P. riassumeva il processo nei confronti della Gan Italia s.p.a. (già Phenix Soleil s.p.a.) e di A. M.. Si costituiva soltanto la compagnia assicuratrice.
La Corte distrettuale, pronunciando in sede di rinvio dalla Suprema Corte (sentenza n. 3625/97) sull’appello proposto da A. D. P. avverso la sentenza del 9.3.1990 n. 349 del Tribunale di Modena, condannava la Gan Italia s.p.a. a rifondere all’appellante la metà delle ulteriori spese processuali.
Proponeva ricorso per cassazione A. D. P. formulando due mezzi d’impugnazione.
Motivi della decisione
Con i due mezzi di impugnazione, da esaminare congiuntamente attesane l’intrinseca connessione, parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo e controverso del risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e di prova dello stesso nel caso di grave menomazione psico-fisica riportata da un minore in età della scuola dell’obbligo e, quindi, prelavorativa (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.)»; 2) «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 primo comma, n. 1 c.p.c.)».
Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza sia perché ha negato la perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno; sia perché ha fatto propria la c.t.u., ritenuta insoddisfacente; sia perché ha negato che lo stesso A. D. P. sia rimasto pregiudicato nelle sue chances future. Per altro verso critica la suddetta sentenza per aver violato il diritto alla tutela della salute della vittima e al risarcimento dei danni.
Entrambi i motivi sono infondati.
Ha infatti accertato l’impugnata sentenza, sulla scorta della C.t.u., che la vittima ha iniziato la propria attività lavorativa all’età di sedici anni; che è attualmente idonea al lavoro; che esercita un’attività lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilità manuale; che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacità lavorativa attuale; che non ha subito o subirà una perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno.
Tali rilievi, attinenti al merito della decisione, sono insuscettibili di critica in sede di legittimità, in presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.
Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non è stata riconosciuta perché non è stata fornita la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarità della fattispecie e delle vicende processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione.
venerdì 1 ottobre 2010
Cartelle esattoriali inviate per posta: le nuove sentenze
Commissione Tributaria Regionale Lombardia-Milano, sez. XXII, sentenza 15.04.2010
Nuovo stop da parte dei giudici tributari alle cartelle esattoriali spedite per posta e senza l’intermediazione di un agente notificatore.
Ciò è quanto emerge da alcune recenti sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce e della Commissione Tributaria Regionale di Milano (Sent. CTP di Lecce n. 436/02/10 e Sent. CTR di Milano n. 61/22/10), secondo le quali risulta addirittura “inesistente” la notifica della cartella inviata a mezzo posta direttamente dai dipendenti di Equitalia e senza l’ausilio dei soggetti puntualmente individuati dalla legge (art. 26, comma 1, DPR n. 602/73), ossia:
gli Ufficiali della riscossione;
gli Agenti della Polizia Municipale;
i Messi Comunali, previa convenzione tra Comune e Concessionario;
altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge.
D’altronde, secondo i giudici della Commissione Tributaria Regionale di Milano “Lo scopo della notifica dell’atto ha natura sostanziale e non processuale e viene raggiunto solo con la materiale e regolare notifica dell’atto nel domicilio fiscale o reale del contribuente…”
Viene ritenuta, dunque, sempre fondamentale la compilazione della relata di notifica da parte dell’agente notificatore, anche in caso di notifica a mezzo posta.
Proprio in merito a ciò, i Giudici di Milano chiariscono che “La relata di notifica è prevista come momento fondamentale nell’ambito del procedimento di notificazione … e non è integralmente surrogabile dall’attività dell’ufficiale postale, sicchè la sua mancanza … non può essere ritenuta una mera irregolarità”.
Infatti, continuano i Giudici “La mancata compilazione della relata determina … non la semplice nullità della notifica, bensì la giuridica inesistenza della stessa, patologia non sanabile in senso assoluto”.
La Commissione, infine, conclude rifiutando l’ipotesi del Concessionario di sanatoria dell’atto per raggiungimento dello scopo (un po’ come dire, anche se la cartella è stata inviata illegittimamente alla fine tutto si è sanato), in quanto si chiarisce che ciò non vale per gli atti giuridicamente inesistenti - come in questo caso - ma al massimo per quelli nulli.
Alla luce di quanto illustrato, dunque, appare irrinunciabile per Equitalia il rispetto della seguente procedura per poter effettuare la notifica delle cartelle a mezzo posta:
A) l’Ufficiale della riscossione (o gli altri soggetti previsti dall’art. 26, comma 1, del DPR n. 602/73) riceve la cartella da Equitalia e compila la relata di notifica, indicando l’ufficio postale da cui parte l’atto e apponendo la propria firma;
B) l’Agente postale consegna la cartella ai legittimi destinatari (ossia ai soggetti indicati dall’art. 26, comma 2, DPR n. 602/73).
A sostegno di tale procedura è intervenuta recentemente anche la sezione V° della Commissione Tributaria Regionale di Milano (sent. n. 141 del 17/12/2009), la quale ha sostenuto che “laddove la legge (riferendosi esplicitamente all’art. 26 del DPR n. 602/73) parla di NOTIFICAZIONE di un atto, anche a mezzo posta, la legge stessa intende riferirsi ad una trasmissione dell’atto effettuata non direttamente, MA TRAMITE L’INTERMEDIAZIONE DI UN SOGGETTO ALL’UOPO SPECIFICAMENTE ABILITATO, che assume valore essenziale ai fini del riscontro o meno della fattispecie notificatoria, comportante l’essenzialità della relata di notificazione … Per contro, quando la legge abbia consentito che la trasmissione per posta avvenga senza il tramite di un soggetto abilitato, ha specificamente parlato di invio per posta dell’atto, direttamente fatto dall’autore dello stesso al suo destinatario, nel qual caso non vi è luogo a relata di notifica, come espressamente previsto dall’art. 16, comma 3 del D.lgs. n. 546/92 e dall’art. 14, parte prima, della legge n. 890/1982”.
Nuovo stop da parte dei giudici tributari alle cartelle esattoriali spedite per posta e senza l’intermediazione di un agente notificatore.
Ciò è quanto emerge da alcune recenti sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce e della Commissione Tributaria Regionale di Milano (Sent. CTP di Lecce n. 436/02/10 e Sent. CTR di Milano n. 61/22/10), secondo le quali risulta addirittura “inesistente” la notifica della cartella inviata a mezzo posta direttamente dai dipendenti di Equitalia e senza l’ausilio dei soggetti puntualmente individuati dalla legge (art. 26, comma 1, DPR n. 602/73), ossia:
gli Ufficiali della riscossione;
gli Agenti della Polizia Municipale;
i Messi Comunali, previa convenzione tra Comune e Concessionario;
altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge.
D’altronde, secondo i giudici della Commissione Tributaria Regionale di Milano “Lo scopo della notifica dell’atto ha natura sostanziale e non processuale e viene raggiunto solo con la materiale e regolare notifica dell’atto nel domicilio fiscale o reale del contribuente…”
Viene ritenuta, dunque, sempre fondamentale la compilazione della relata di notifica da parte dell’agente notificatore, anche in caso di notifica a mezzo posta.
Proprio in merito a ciò, i Giudici di Milano chiariscono che “La relata di notifica è prevista come momento fondamentale nell’ambito del procedimento di notificazione … e non è integralmente surrogabile dall’attività dell’ufficiale postale, sicchè la sua mancanza … non può essere ritenuta una mera irregolarità”.
Infatti, continuano i Giudici “La mancata compilazione della relata determina … non la semplice nullità della notifica, bensì la giuridica inesistenza della stessa, patologia non sanabile in senso assoluto”.
La Commissione, infine, conclude rifiutando l’ipotesi del Concessionario di sanatoria dell’atto per raggiungimento dello scopo (un po’ come dire, anche se la cartella è stata inviata illegittimamente alla fine tutto si è sanato), in quanto si chiarisce che ciò non vale per gli atti giuridicamente inesistenti - come in questo caso - ma al massimo per quelli nulli.
Alla luce di quanto illustrato, dunque, appare irrinunciabile per Equitalia il rispetto della seguente procedura per poter effettuare la notifica delle cartelle a mezzo posta:
A) l’Ufficiale della riscossione (o gli altri soggetti previsti dall’art. 26, comma 1, del DPR n. 602/73) riceve la cartella da Equitalia e compila la relata di notifica, indicando l’ufficio postale da cui parte l’atto e apponendo la propria firma;
B) l’Agente postale consegna la cartella ai legittimi destinatari (ossia ai soggetti indicati dall’art. 26, comma 2, DPR n. 602/73).
A sostegno di tale procedura è intervenuta recentemente anche la sezione V° della Commissione Tributaria Regionale di Milano (sent. n. 141 del 17/12/2009), la quale ha sostenuto che “laddove la legge (riferendosi esplicitamente all’art. 26 del DPR n. 602/73) parla di NOTIFICAZIONE di un atto, anche a mezzo posta, la legge stessa intende riferirsi ad una trasmissione dell’atto effettuata non direttamente, MA TRAMITE L’INTERMEDIAZIONE DI UN SOGGETTO ALL’UOPO SPECIFICAMENTE ABILITATO, che assume valore essenziale ai fini del riscontro o meno della fattispecie notificatoria, comportante l’essenzialità della relata di notificazione … Per contro, quando la legge abbia consentito che la trasmissione per posta avvenga senza il tramite di un soggetto abilitato, ha specificamente parlato di invio per posta dell’atto, direttamente fatto dall’autore dello stesso al suo destinatario, nel qual caso non vi è luogo a relata di notifica, come espressamente previsto dall’art. 16, comma 3 del D.lgs. n. 546/92 e dall’art. 14, parte prima, della legge n. 890/1982”.
mercoledì 1 settembre 2010
Illegittime le bollette dell'acqua retroattive
La possibilità dell’Autorità d’ambito di intervenire sulla tariffa in caso di scostamenti dal piano finanziario e gestionale (art. 8, comma secondo, del d.m. 01/08/1996) impone tempestività nei relativi accertamenti, ma non introduce deroga quanto al principio di irretroattività della prestazione imposta.
Infatti, la delibera che approva il regime tariffario ha natura di atto amministrativo generale ed è destinata ad applicarsi per tutto il periodo di vigenza e fino a revoca in base a "contrarius actus".
Da ciò deriva l'applicabilità del principio di irretroattività delle tariffe per il servizio idrico e l'illegittimità delle relative fatture che contengano dei conguagli per il pregresso.
Scarica la Sentenza del Consiglio di Stato
Consiglio di Stato n. 4301/08
Infatti, la delibera che approva il regime tariffario ha natura di atto amministrativo generale ed è destinata ad applicarsi per tutto il periodo di vigenza e fino a revoca in base a "contrarius actus".
Da ciò deriva l'applicabilità del principio di irretroattività delle tariffe per il servizio idrico e l'illegittimità delle relative fatture che contengano dei conguagli per il pregresso.
Scarica la Sentenza del Consiglio di Stato
Consiglio di Stato n. 4301/08
domenica 18 aprile 2010
CONTRATTI – TUTELA DEL CONSUMATORE
Cassazione Terza Sezione Civile
Ordinanza n. 6802 del 20 marzo 2010
CONTRATTI – TUTELA DEL CONSUMATORE – DEROGA DELLA COMPETENZA TERRITORIALE – ONERI PROBATORI A CARICO DEL PROFESSIONISTA
In tema di tutela del consumatore, per escludere l’applicabilità della relativa disciplina recata dagli artt. 33 e ss. del d.lgs. n. 206 del 2005, specificamente invocata dal consumatore per radicare la competenza territoriale nel foro suo proprio, il professionista deve provare che la clausola contrattuale derogatoria di detto foro (art. 33, comma 2, lett. u) è stata oggetto di puntuale trattativa, ovvero deve fornire prova idonea a vincere la presunzione di vessatorietà della clausola medesima.
SCARICA L'ORIGINALE DELL'ORDINANZA
Ordinanza n. 6802 del 20 marzo 2010
CONTRATTI – TUTELA DEL CONSUMATORE – DEROGA DELLA COMPETENZA TERRITORIALE – ONERI PROBATORI A CARICO DEL PROFESSIONISTA
In tema di tutela del consumatore, per escludere l’applicabilità della relativa disciplina recata dagli artt. 33 e ss. del d.lgs. n. 206 del 2005, specificamente invocata dal consumatore per radicare la competenza territoriale nel foro suo proprio, il professionista deve provare che la clausola contrattuale derogatoria di detto foro (art. 33, comma 2, lett. u) è stata oggetto di puntuale trattativa, ovvero deve fornire prova idonea a vincere la presunzione di vessatorietà della clausola medesima.
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martedì 23 marzo 2010
CONTRATTI – DEL CONSUMATORE - VESSATORIETA' DELLE CLAUSOLE
CORTE DI CASSAZIONE SS.UU.
SENTENZA N. 6481 DEL 17 MARZO 2010
Pronunciandosi in una fattispecie relativa a contratto avente per oggetto un corso professionale, la S.C., interpretando unitariamente il criterio generale e le fattispecie tipizzate di cui all’art. 1469 bis c.p.c. (nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 206 del 2005,), ha ritenuto abusiva la clausola con la quale il consumatore rinuncia alla facoltà di recesso e si assume l'obbligo di corrispondere comunque l'intero importo pattuito ed, inoltre, ha ritenuto applicabile il terzo comma, n. 11 dello stesso articolo alla clausola con la quale il professionista si riserva il potere unilaterale di modificare le modalità di svolgimento del corso.
SENTENZA N. 6481 DEL 17 MARZO 2010
Pronunciandosi in una fattispecie relativa a contratto avente per oggetto un corso professionale, la S.C., interpretando unitariamente il criterio generale e le fattispecie tipizzate di cui all’art. 1469 bis c.p.c. (nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 206 del 2005,), ha ritenuto abusiva la clausola con la quale il consumatore rinuncia alla facoltà di recesso e si assume l'obbligo di corrispondere comunque l'intero importo pattuito ed, inoltre, ha ritenuto applicabile il terzo comma, n. 11 dello stesso articolo alla clausola con la quale il professionista si riserva il potere unilaterale di modificare le modalità di svolgimento del corso.
venerdì 5 marzo 2010
Debiti per tasse e tributi? Niente ipoteca se il debito non supera gli 8.000 euro
Cassazione civile , SS.UU., sentenza 22.02.2010 n° 4077
Con la sentenza n. 4077/2010 qui in commento, la Suprema Corte specifica che l’ipoteca immobiliare, quale garanzia reale al soddisfacimento del creditore, è atto prodromico alla promozione di esecuzione immobiliare e, pertanto, soggetta agli stessi limiti di valore previsti per l’instaurazione di detta procedura, cioè euro 8.000,00.
Questa interpretazione si pone in contrasto con la tesi dell’ente creditore che riteneva l’iscrizione legittima in forza dell’interpretazione letterale degli articoli 76 e 77 drp 602/73 prevedono un importo limite per l’instaurazione di esecuzione immobiliare e non per l’iscrizione di ipoteca.
La Corte boccia questa tesi affermando che, così come non è consentito agire in via coattiva tramite espropriazione immobiliare per la tutela di crediti per importi inferiori agli euro 8.000,00, allo stesso modo, non è legittimo iscrivere ipoteca su beni immobili laddove l’importo iscritto nel ruolo di riscossione sia inferiore al medesimo importo e ciò perché l’ipoteca è di atto funzionale e strumentale alla tutela del credito da realizzarsi, appunto, in via espropriativa.
La Corte si dimostra, così, in disaccordo con prospettazione della questione offerta dai giudici di merito (Tribunale di Nola, sez. I, sentenza n. 408 del 17/03/2008; Tribunale di Bologna sentenza n. 1015/07 del 02 maggio 2007; Tribunale di Napoli, sez. dist. Casoria, sentenza n. 149/2006; Tribunale di Napoli, sez. X, sentenza n. 12785/2006) secondo cui l’iscrizione ipotecaria godrebbe di autonomina ed indipendenza rispetto al procedimento esecutivo., nonchè dal legislatore che, nel riformare l'articolo 19 del D.Lgs. 546/1992, riconducendo alla competenza delle Commissioni tributarie le impugnazioni delle ipoteche di cui all'articolo 77, DPR 602/73, oltre che dei fermi dei beni mobili registrati di cui all'articolo 86, DPR 602/73, ha escluso la natura esecutiva degli stessi.
Diversamente le Sezioni Unite ritengono che l’ipoteca, quale peso imposto al bene con finalità i garantire il creditore, svolge la funzione sua propria in sede di giudizio di esecuzione, garantendo al creditore c.d. “iscritto” il soddisfacimento in via preferenziale sul ricavato della vendita.
questo collegamento funzionale tra ipoteca e procedura espropriativa, dunque, autorizza ad estendere all’ipoteca la disciplina prevista per l’esecuzione, in virtù di un’interpretazione logica della medesima.
Quindi, che fine fa l’ipoteca eventualmente iscritta per importi inferiori?
La Cassazione nulla dice in proposito, né precisa chi ed in quanto tempo debba procedere alla cancellazione, né chi deve accollarsi i costi di dette operazioni né, tanto meno,quali siano gli effetti dell’eventuale pignoramento immobiliare avente ad oggetto un bene su cui sia stata impropriamente iscritta ipoteca.
Con la sentenza n. 4077/2010 qui in commento, la Suprema Corte specifica che l’ipoteca immobiliare, quale garanzia reale al soddisfacimento del creditore, è atto prodromico alla promozione di esecuzione immobiliare e, pertanto, soggetta agli stessi limiti di valore previsti per l’instaurazione di detta procedura, cioè euro 8.000,00.
Questa interpretazione si pone in contrasto con la tesi dell’ente creditore che riteneva l’iscrizione legittima in forza dell’interpretazione letterale degli articoli 76 e 77 drp 602/73 prevedono un importo limite per l’instaurazione di esecuzione immobiliare e non per l’iscrizione di ipoteca.
La Corte boccia questa tesi affermando che, così come non è consentito agire in via coattiva tramite espropriazione immobiliare per la tutela di crediti per importi inferiori agli euro 8.000,00, allo stesso modo, non è legittimo iscrivere ipoteca su beni immobili laddove l’importo iscritto nel ruolo di riscossione sia inferiore al medesimo importo e ciò perché l’ipoteca è di atto funzionale e strumentale alla tutela del credito da realizzarsi, appunto, in via espropriativa.
La Corte si dimostra, così, in disaccordo con prospettazione della questione offerta dai giudici di merito (Tribunale di Nola, sez. I, sentenza n. 408 del 17/03/2008; Tribunale di Bologna sentenza n. 1015/07 del 02 maggio 2007; Tribunale di Napoli, sez. dist. Casoria, sentenza n. 149/2006; Tribunale di Napoli, sez. X, sentenza n. 12785/2006) secondo cui l’iscrizione ipotecaria godrebbe di autonomina ed indipendenza rispetto al procedimento esecutivo., nonchè dal legislatore che, nel riformare l'articolo 19 del D.Lgs. 546/1992, riconducendo alla competenza delle Commissioni tributarie le impugnazioni delle ipoteche di cui all'articolo 77, DPR 602/73, oltre che dei fermi dei beni mobili registrati di cui all'articolo 86, DPR 602/73, ha escluso la natura esecutiva degli stessi.
Diversamente le Sezioni Unite ritengono che l’ipoteca, quale peso imposto al bene con finalità i garantire il creditore, svolge la funzione sua propria in sede di giudizio di esecuzione, garantendo al creditore c.d. “iscritto” il soddisfacimento in via preferenziale sul ricavato della vendita.
questo collegamento funzionale tra ipoteca e procedura espropriativa, dunque, autorizza ad estendere all’ipoteca la disciplina prevista per l’esecuzione, in virtù di un’interpretazione logica della medesima.
Quindi, che fine fa l’ipoteca eventualmente iscritta per importi inferiori?
La Cassazione nulla dice in proposito, né precisa chi ed in quanto tempo debba procedere alla cancellazione, né chi deve accollarsi i costi di dette operazioni né, tanto meno,quali siano gli effetti dell’eventuale pignoramento immobiliare avente ad oggetto un bene su cui sia stata impropriamente iscritta ipoteca.
lunedì 1 marzo 2010
Infortunio conseguente a sinistro stradale. Diritto del datore di lavoro al risarcimento del danno per gli esborsi effettuati
Sentenza n. 2844 del 9 febbraio 2010
Il datore di lavoro, che abbia retribuito il lavoratore nel periodo di mancata prestazione lavorativa per inabilità temporanea a causa di infortunio cagionato da un terzo, ha diritto ad essere risarcito da quest’ultimo per gli esborsi effettuati (compresi quelli concernenti la dovuta contribuzione agli enti di assicurazione sociale) ed il diritto al risarcimento di tale danno, ove l’infortunio sia avvenuto a seguito di sinistro stradale, si prescrive in due anni, ai sensi dell'art. 2947, comma secondo, cod. civ.
Il datore di lavoro, che abbia retribuito il lavoratore nel periodo di mancata prestazione lavorativa per inabilità temporanea a causa di infortunio cagionato da un terzo, ha diritto ad essere risarcito da quest’ultimo per gli esborsi effettuati (compresi quelli concernenti la dovuta contribuzione agli enti di assicurazione sociale) ed il diritto al risarcimento di tale danno, ove l’infortunio sia avvenuto a seguito di sinistro stradale, si prescrive in due anni, ai sensi dell'art. 2947, comma secondo, cod. civ.
venerdì 19 febbraio 2010
Il caso Mediaset - Youtube: inibire senza sorvegliare
La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonchè quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.
Il Tribunale di Roma con il provvedimento dello scorso 11 febbraio ha confermato la decisione con la quale, il 23 dicembre scorso, nell'ambito di un procedimento cautelare in corso di causa promosso da RTI, aveva ordinato a Google di rimuovere da YouTube tutti i video del Grande Fratello 10 pubblicati e, soprattutto, di non consentire la pubblicazione di ulteriori video.
La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonché quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.
Il Tribunale di Roma, infatti -nell'ordinanza resa in sede di reclamo- riconosce che su Youtube viene svolta un'attività di web hosting e, dunque, di intermediazione della comunicazione alla quale occorre applicare la disciplina sul commercio elettronico così come ammette che tale disciplina preclude di porre a carico degli intermediari della comunicazione un obbligo generale di sorveglianza.
Ad un tempo, tuttavia, i Giudici hanno ritenuto che inibire all'intermediario di pubblicare, anche in futuro, contenuti analoghi a quelli oggetto del provvedimento di rimozione non violi tale principio.
Si tratta di una conclusione che non convince e che appare "elusiva" rispetto al principio comunitario: non si ordina di sorvegliare ma si obbliga, per il futuro, a non pubblicare -rectius far pubblicare- nella piena consapevolezza che ciò ha per presupposto una sorveglianza preventiva.
Nessuna norma dell'ordinamento italiano, tuttavia, sembra legittimare un'inibitoria di portata tanto ampia da abbracciare la pubblicazione di opere individuate solo nel genere sia nel presente che nel futuro.
Lo stesso art. 156 della legge sul diritto d'autore, posto da RTI a fondamento delle proprie richieste, d'altra parte, nel riconoscere al titolare dei diritti la facoltà di agire anche contro l'intermediario -a prescindere, peraltro dalla responsabilità di quest'ultimo- per ottenere l'inibitoria della prosecuzione di una determinata condotta, stabilisce che tale previsione debba essere contemperata con le disposizioni contenute nella direttiva sul commercio elettronico e, dunque, tra le altre, anche con quella che esclude qualsivoglia obbligo di sorveglianza dell'intermediario.
A ragionare diversamente, altro canto, le decisioni dei giudici in materia di proprietà intellettuale finirebbero -come peraltro accaduto in questo caso- con l'avere una portata generale ed astratta -analoga, nella sostanza a quella della legge- ed a reiterare il semplice contenuto di un precetto normativo: quello secondo il quale è vietata la pubblicazione di altrui contenuti in assenza dell'autorizzazione del titolare dei diritti.
Sarebbe un pò come se -online o offiline- un giudice potesse ordinare ad un determinato soggetto di non violare mai più i diritti d'autore di un certo titolare.
Si tratta, peraltro, di una questione della quale -proprio mentre i Giudici del Tribunale di Roma emettevano la propria decisione- veniva interessata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
La Corte d'Appello di Bruxelles, infatti, con una Sentenza dello scorso 28 gennaio, ha chiesto ai Giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla compatibilità con la disciplina europea in materia di commercio elettronico di una norma nazionale che riconosca al giudice il potere di ordinare ad un intermediario della comunicazione di installare dei filtri preordinati a precludere lo scambio -da parte dei propri utenti- attraverso le piattaforme di P2P di materiale coperto dal diritto d'autore.
La Sentenza belga è stata pronunciata nell'ambito dell'ormai famosa controversia insorta nel lontano 2004, che vede contrapposte la SABAM -la corrispondente belga della nostra SIAE- e la Scarlett, un internet service provider.
Sebbene con i distinguo del caso le due controversie hanno forti momenti di contatto: in entrambi i titolari dei diritti d'autore hanno chiesto ed ottenuto -almeno in fase cautelare- che venisse ordinato agli intermediari della comunicazione di inibire la prosecuzione di una condotta posta in essere dai propri utenti nel presente come nel futuro.
Tornando in Italia, invece, a questo punto, non resta che stare a guardare quali saranno le determinazioni dello stesso Tribunale di Roma in relazione alle modalità con le quali Google dovrà ottemperare all'ordine di inibitoria. Come già accaduto in Belgio nella richiamata controversia Sabam c. Scarlet, infatti, tale decisione è, probabilmente, più importante di quella di merito.
Si tratta, infatti, di accertare chi debba pagare la tecnologia e le risorse necessarie a inibire la futura pubblicazione da parte degli utenti di ulteriori contenuti, quale percentuale di fallibilità della tecnologia da adottarsi sia ritenuta "scusabile" e, soprattutto, quali siano i contenuti di cui Google dovrà inibire la pubblicazione su Youtube.
Sembra difficile sostenere -sebbene questa sia la posizione di una delle parti- che i costi dell'attività di prevenzione della pirateria audiovisiva sulla piattaforma o attraverso le infrastrutture di un intermediario possano essere poste carico di quest'ultimo perché sarebbe come ritenere che le fabbriche di armi siano tenute ad installare a proprie spese metal detector un pò ovunque per scongiurare il rischio che i loro prodotti siano utilizzati per scopi illeciti o, piuttosto, che la società autostrade sia tenuta a vigilare, a proprie spese, sull'eventuale utilizzo delle autostrade medesime per contrabbando o altre attività illecite.
Il Tribunale di Roma con il provvedimento dello scorso 11 febbraio ha confermato la decisione con la quale, il 23 dicembre scorso, nell'ambito di un procedimento cautelare in corso di causa promosso da RTI, aveva ordinato a Google di rimuovere da YouTube tutti i video del Grande Fratello 10 pubblicati e, soprattutto, di non consentire la pubblicazione di ulteriori video.
La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonché quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.
Il Tribunale di Roma, infatti -nell'ordinanza resa in sede di reclamo- riconosce che su Youtube viene svolta un'attività di web hosting e, dunque, di intermediazione della comunicazione alla quale occorre applicare la disciplina sul commercio elettronico così come ammette che tale disciplina preclude di porre a carico degli intermediari della comunicazione un obbligo generale di sorveglianza.
Ad un tempo, tuttavia, i Giudici hanno ritenuto che inibire all'intermediario di pubblicare, anche in futuro, contenuti analoghi a quelli oggetto del provvedimento di rimozione non violi tale principio.
Si tratta di una conclusione che non convince e che appare "elusiva" rispetto al principio comunitario: non si ordina di sorvegliare ma si obbliga, per il futuro, a non pubblicare -rectius far pubblicare- nella piena consapevolezza che ciò ha per presupposto una sorveglianza preventiva.
Nessuna norma dell'ordinamento italiano, tuttavia, sembra legittimare un'inibitoria di portata tanto ampia da abbracciare la pubblicazione di opere individuate solo nel genere sia nel presente che nel futuro.
Lo stesso art. 156 della legge sul diritto d'autore, posto da RTI a fondamento delle proprie richieste, d'altra parte, nel riconoscere al titolare dei diritti la facoltà di agire anche contro l'intermediario -a prescindere, peraltro dalla responsabilità di quest'ultimo- per ottenere l'inibitoria della prosecuzione di una determinata condotta, stabilisce che tale previsione debba essere contemperata con le disposizioni contenute nella direttiva sul commercio elettronico e, dunque, tra le altre, anche con quella che esclude qualsivoglia obbligo di sorveglianza dell'intermediario.
A ragionare diversamente, altro canto, le decisioni dei giudici in materia di proprietà intellettuale finirebbero -come peraltro accaduto in questo caso- con l'avere una portata generale ed astratta -analoga, nella sostanza a quella della legge- ed a reiterare il semplice contenuto di un precetto normativo: quello secondo il quale è vietata la pubblicazione di altrui contenuti in assenza dell'autorizzazione del titolare dei diritti.
Sarebbe un pò come se -online o offiline- un giudice potesse ordinare ad un determinato soggetto di non violare mai più i diritti d'autore di un certo titolare.
Si tratta, peraltro, di una questione della quale -proprio mentre i Giudici del Tribunale di Roma emettevano la propria decisione- veniva interessata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
La Corte d'Appello di Bruxelles, infatti, con una Sentenza dello scorso 28 gennaio, ha chiesto ai Giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla compatibilità con la disciplina europea in materia di commercio elettronico di una norma nazionale che riconosca al giudice il potere di ordinare ad un intermediario della comunicazione di installare dei filtri preordinati a precludere lo scambio -da parte dei propri utenti- attraverso le piattaforme di P2P di materiale coperto dal diritto d'autore.
La Sentenza belga è stata pronunciata nell'ambito dell'ormai famosa controversia insorta nel lontano 2004, che vede contrapposte la SABAM -la corrispondente belga della nostra SIAE- e la Scarlett, un internet service provider.
Sebbene con i distinguo del caso le due controversie hanno forti momenti di contatto: in entrambi i titolari dei diritti d'autore hanno chiesto ed ottenuto -almeno in fase cautelare- che venisse ordinato agli intermediari della comunicazione di inibire la prosecuzione di una condotta posta in essere dai propri utenti nel presente come nel futuro.
Tornando in Italia, invece, a questo punto, non resta che stare a guardare quali saranno le determinazioni dello stesso Tribunale di Roma in relazione alle modalità con le quali Google dovrà ottemperare all'ordine di inibitoria. Come già accaduto in Belgio nella richiamata controversia Sabam c. Scarlet, infatti, tale decisione è, probabilmente, più importante di quella di merito.
Si tratta, infatti, di accertare chi debba pagare la tecnologia e le risorse necessarie a inibire la futura pubblicazione da parte degli utenti di ulteriori contenuti, quale percentuale di fallibilità della tecnologia da adottarsi sia ritenuta "scusabile" e, soprattutto, quali siano i contenuti di cui Google dovrà inibire la pubblicazione su Youtube.
Sembra difficile sostenere -sebbene questa sia la posizione di una delle parti- che i costi dell'attività di prevenzione della pirateria audiovisiva sulla piattaforma o attraverso le infrastrutture di un intermediario possano essere poste carico di quest'ultimo perché sarebbe come ritenere che le fabbriche di armi siano tenute ad installare a proprie spese metal detector un pò ovunque per scongiurare il rischio che i loro prodotti siano utilizzati per scopi illeciti o, piuttosto, che la società autostrade sia tenuta a vigilare, a proprie spese, sull'eventuale utilizzo delle autostrade medesime per contrabbando o altre attività illecite.
martedì 2 febbraio 2010
Risarcimento con iva anche prima della riparazione del veicolo
Cass. Civ. 27 gennaio 2010, n. 1688
Il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali e comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta, perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.
La Suprema Corte ribadisce il consolidato principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendenternente dagli esborsi materialmente effettuati.
Più in particolare ed in applicazione di questo stesso principio, è stato affermato che, poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per la riparazione del veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta -a meno che il danneggiato per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata- perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.
Con riferimento poi al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata a causa dell'impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione., è stato affermato che è possibile la liquidazione quantitativa di detto danno anche. in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo anche a prescindere dall'uso effettivo a cui esso era destinato. L'autoveicoio è, infatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore del veicolo.
Il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali e comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta, perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.
La Suprema Corte ribadisce il consolidato principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendenternente dagli esborsi materialmente effettuati.
Più in particolare ed in applicazione di questo stesso principio, è stato affermato che, poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per la riparazione del veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta -a meno che il danneggiato per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata- perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.
Con riferimento poi al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata a causa dell'impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione., è stato affermato che è possibile la liquidazione quantitativa di detto danno anche. in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo anche a prescindere dall'uso effettivo a cui esso era destinato. L'autoveicoio è, infatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore del veicolo.
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