lunedì 20 ottobre 2008

Sinistri con lesione: niente rito del lavoro avanti al giudice di pace

Cassazione civile , sez. III, ordinanza 07.08.2008 n° 21418

Il Giudice di Pace di Reggio Calabria, dovendo giudicare una controversia relativa ad un incidente stradale con lesioni ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 102/2006, dichiara la propria incompetenza ritenendo che tale norma avesse attribuito la competenza per gli incidenti stradali con lesioni al Tribunale. Il Tribunale di Reggio Calabria, ove la causa è stata riassunta, a propria volta riteneva erronea la decisione del Giudice di Pace e sollevava, quindi, regolamento di competenza avanti alla Corte di Cassazione.
Con l’ordinanza n. 21418/2008 la Suprema Corte di Cassazione prende finalmente posizione sul punto e stabilisce alcuni principio fondamentali.
Innanzitutto si precisa che l’art. 3, L. 102/2006 non è da ritenersi norma speciale nei confronti della norma generale di cui all’art. 7 c.p.c. e, quindi, il legislatore non ha voluto in alcun modo derogare ai principi di competenza stabiliti dal codice di procedura civile. L’art. 3 può, e deve, incidere solo sulle norme processuali ovvero solo sul rito da adottare nel procedimento e non, quindi, sulle varie competenze. Poiché la norma di cui all’art. 413 c.p.c. contiene una disciplina relativa alla competenza per materia e per territorio, in stretta relazione però con l’art. 409 c.p.c. e quindi alle controversie di lavoro, non può considerarsi (l’art. 413 c.p.c.) una norma di diritto processuale a cui allude l’art. 3. Pertanto, la Suprema Corte di cassazione ha ritenuto di stabilire il seguente principio di diritto: «Deve escludersi che la norma dell'art. 3 della L. n. 102 del 2006, nel prevedere che alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali, si applicano le norme processuali di cui al libro Il, titolo IV, capo I del codice di procedura civile, abbia attribuito al Tribunale la competenza su tali cause, così sottraendole alla previsione di competenza del giudice di pace per materia con limite di valore, di cui all'art. 7, secondo comma, c.p.c.».
Ma di fondamentale importanza, riteniamo, è quanto stabilisce nel prosieguo dell’ordinanza la Suprema Corte. Quest’ultima, infatti, ha ritenuto che: 1) il rito del lavoro non è compatibile con l’esercizio della giurisdizione da parte di un giudice onorario quale il Giudice di Pace; 2) l’intento del legislatore era quello di un rito più celere per tali tipologie di cause e assegnando assegnando uno strumento processuale sofisticato quale il rito del lavoro al Giudice di Pace si otterrebbe l’effetto contrario; 3) che l’applicazione del rito del lavoro avanti al Giudice di Pace comporta che nella pratica anche i danni a cose di minima entità debbano essere trattati con tale rito; 4) quando il legislatore detta una norma sul rito potenzialmente idonea ad essere applicata - come l'art. 3 di cui si discorre - anche al processo dinanzi al giudice di pace, perché la potenzialità sia effettiva e la norma possa essere interpretata nel senso d'essere applicabile anche dinanzi al giudice di pace, è necessario che essa disponga in tale senso "in modo espresso", cosa che il detto art. 3 non ha fatto in alcun modo, non contenendo alcun riferimento al processo dinanzi al Giudice di Pace. Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha, quindi, stabilito quest’altro principio: «deve escludersi che l'intentio legis di cui è espressione l'art. 3 si sia voluta indirizzare nel senso di disporre l'applicabilità delle norme del c.d. rito del lavoro anche quando le cennate controversie debbano essere trattate dinanzi al giudice di pace, onde la norma in discorso si deve intendere riferita soltanto all'ipotesi di causa davanti al Tribunale ».
In sostanza, per concludere,la Corte di Cassazione ha stabilito che nei sinistri con lesioni, per cui sia competente per valore il Giudice di Pace, non si debba applicare il rito del lavoro ma il rito ordinario.

martedì 7 ottobre 2008

Circolazione auto, assicurazione, auto in sosta, necessità, sussistenza

Cassazione civile , sez. II, sentenza 02.09.2008 n° 22035

I veicoli, ancorché privi di parti essenziali per un’autonoma circolazione o fortemente danneggiati od usurati, non sono esclusi dall’obbligo assicurativo se non risulti la prova della loro assoluta inidoneità alla circolazione e la loro sostanziale riduzione allo stato di rottame, non rilevando in contrario neppure la circostanza che il proprietario abbia raggiunto accordi con terzi per provvedere all’asporto ed alla successiva demolizione.

lunedì 6 ottobre 2008

Concorrenza e risarcimento: sulla legittimazione ad agire del consumatore

La legittimazione ad agire ex art. 33 Legge n. 287/90 va riconosciuta non solo all’imprenditore ma anche al consumatore.
Tale azione, infatti, deve ritenersi esperibile da parte di tutti quei soggetti del mercato che abbiano interesse alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere.
Il consumatore, pertanto, quale acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, ha il diritto di agire per il risarcimento del danno qualora, di fronte ad un’intesa restrittiva, veda eluso il suo diritto di scelta tra più prodotti in concorrenza.
In sostanza, poiché la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce un danno da una contrattazione che non ammette alternative per effetto di una collusione “a monte” tra gli operatori del settore, ancorché non sia partecipe ad un rapporto di concorrenza con gli autori dell’intesa restrittiva, è legittimato ad esperire l’azione di accertamento della nullità dell’impresa e il risarcimento del danno di cui all’art. 33 Legge n. 287/90.
Nel caso di specie il consumatore aveva lamentato l’esistenza di un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza posta in essere da numerose compagnie di assicurazione, tra le quali l’impresa convenuta, tesa a far aumentare i costi delle polizze, procurando alle stesse un ingiusto profitto a danno dei contraenti.
La Corte d’appello di Napoli ha rigettato la domanda proposta poiché ha ritenuto non provato dall’attore l’effettivo pregiudizio patito per effetto dell’intesa anticoncorrenziale.
Nella fattispecie, infatti, l’Autorità Garante si era limitata a stigmatizzare il mero scambio di dati sensibili, ritenendolo potenzialmente idoneo ad alterare il gioco della concorrenza, ma non aveva altresì accertato che tra le compagnie assicuratrici vi fosse stato un accordo sulle tariffe da applicare, né che lo scambio d’informazioni avesse avuto concreti effetti sulla formazione dei premi assicurativi tale da determinare un ingiusto incremento degli stessi rispetto a quelli che sarebbero stati praticati in un mercato “non turbato”.
Il consumatore che promuove l’azione risarcitoria ex art. 33 della citata legge non può, infatti, esimersi dall’onere di provare di aver subito un effettivo pregiudizio in conseguenza dell’atto anticoncorrenziale e, pertanto, nel caso in esame, l’attore, per ottenere il risarcimento richiesto, avrebbe dovuto dimostrare di aver corrisposto alla compagnia convenuta un premio maggiore rispetto a quello dovuto a causa della partecipazione di quest’ultima all’intesa vietata.

mercoledì 1 ottobre 2008

Sulle clausole di polizza che delimitano il rischio assicurato

Cassazione civile , sez. III, sentenza 17.01.2008 n° 866
Le clausole di polizza, che delimitano il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’art. 1370 cod. civ. e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all’assicuratore medesimo”.
Sulla base di tale principio interpretativo la Suprema corte ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Venezia che aveva respinto la richiesta di indennizzo proposta dall’assicurato, in quanto rientrante nell’esclusione di cui all’art. 4, comma 3, delle condizioni generali di assicurazione, che prevedeva la non indennizzabilità per qualsiasi cura, protesi dentaria e paradentopatie, indipendentemente dall’accertamento della causa generatrice dell’intervento.
L’assicurato aveva sostenuto, invece, che la cura, in quanto dovuta da infortunio e non da ragioni estetiche o dal normale invecchiamento dell’apparato dentario, fosse indennizzabile.
Il Supremo collegio ha ritenuto insufficiente la motivazione offerta dalla Corte d’Appello in quanto basata su un’interpretazione meramente testuale della volontà delle parti.
In particolare non è stata sufficientemente indagata la ratio dell’esclusione dell’indennizzabilità delle cure dentarie e dell’espressione “indipendentemente dalla causa che le rende necessarie”, soprattutto ove raffrontata con la parallela esclusione, prevista nei contratti di assicurazione, dell’indennizzabilità degli interventi di chirurgia plastica prevista solo nei casi in cui non siano resi necessari da un infortunio.
Il richiamo a tale ultima ipotesi di esclusione comporta, a parere della Suprema corte, una corretta valutazione anche dell’espressione “indipendentemente dalla causa che le rende necessarie”, che potrebbe limitare l’esclusione dell’indennizzabilità delle cure e protesi dentarie solo ove siano dipendenti da malattia.
In tali ipotesi di esclusione dell’indennità assicurativa, pertanto, deve essere valutato se il presumibile criterio di eliminazione di una sovraesposizione del rischio assicurato, dipendente dalla inclusione fra gli eventi indennizzabili di cure dentarie e di interventi di chirurgia plastica, che si caratterizzano per il loro costo economico, non tolleri in entrambi i casi una maggiore copertura assicurativa quando interventi di tal specie dipendano e siano resi necessari da un infortunio.