giovedì 27 novembre 2008

Cassazione Civile: nell'intervento adesivo autonomo si possono proporre domande

Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 16 ottobre 2008, n.25264

Il terzo che interviene in un processo, qualora il proprio intervento si possa definire come adesivo autonomo, può proporre proprie autonome domande sino alla precisazione delle conclusioni, fatte salve le preclusioni dei mezzi istruttori. La Cassazione ha così ribadito il proprio orientamento che era stato contrastato dal tribunale di merito. Secondo la Cassazione, infatti, "Sostenere che l'interveniente adesivo autonomo, vale a dire il terzo che interviene nel processo tra altre persone per far valere in confronto di alcune di esse un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo (art. 105 primo comma cpc), possa farlo sino a che non vengano precisate le conclusioni (come dispone l'art. 268 primo comma cpc), ma senza poter proporre proprie autonome domande per le preclusioni poste dagli artt. 183 e 184 cpc alla facoltà delle parti originarie del processo di compiere determinati atti (come quello di proporre domande nuove), significherebbe di fatto vanificare qualsiasi valore ed utilità processuale all'istituto degli interventi contemplati nel suddetto primo comma dell'art. 105 cpc (quello principale e quello litisconsortile), nei quali fondamentale ed ineludibile risulta invero l'attività assertiva del volontario interveniente a tutela dei propri diritti.In altre parole, è evidente che l'aver consentito normativamente che i predetti interventi del terzo nel processo potessero effettuarsi sino al momento di precisazione delle conclusioni perderebbe ogni significato logico-giuridico ove non fosse consentita contestualmente - secondo l'interpretazione dell'art. 268 cpc che qui si contrasta - la formulazione della domanda, che costituisce l'essenza stessa degli interventi in questione. In realtà, con il termine "atti" utilizzato dal citato art. 268 il legislatore ha inteso certamente fare riferimento esclusivamente all'attività istruttoria che l'interveniente dovrebbe svolgere, in conseguenza della domanda proposta, a dimostrazione del diritto vantato, nel senso che, avvenuta la formulazione definitiva delle richieste istruttorie delle parti originarie del processo, resta preclusa all'interveniente la facoltà di espletare ulteriore e diversa attività istruttoria".Sono altresì prive di pregio le preoccupazioni espresse dal tribunale circa profili di illegittimità costituzionale della lettura della norma sopra esposta: "in virtù del principio che l'interveniente nel processo non può svolgere attività istruttoria preliminare e probatoria che la fase eventualmente avanzata del processo stesso non consenta più alle altre parti originarie e, pertanto, della soggezione del terzo alle preclusioni già formatesi tra le parti in causa, la formulazione della domanda da parte del terzo medesimo non può comportare per definizione alcun ritardo nei termini di decisione della causa stessa o, a maggior ragione, lesione del contraddittorio, dovendo la domanda suddetta essere decisa alla stregua delle prove già acquisite in atti senza poterne espletare altre e svolgendosi comunque l'intervento del terzo in un giudizio in cui le altre parti interessate sono già regolarmente costituite o sono state messe in grado ritualmente di farlo".

mercoledì 26 novembre 2008

OBBLIGAZIONI IN GENERE - PAGAMENTO AL CREDITORE APPARENTE - EFFICACIA LIBERATORIA

Cass. Civ. III sez. - Sentenza n. 26052 del 30 ottobre 2008

Il pagamento effettuato nelle mani di un creditore apparente ha efficacia liberatoria, a condizione che il debitore abbia in buona fede e senza colpa ritenuto il destinatario del pagamento legittimato a riceverlo. Le circostanze dalle quali desumere la scusabilità dell’erroneo pagamento vanno desunte in particolar modo dal comportamento sia dell’accipiens, sia del vero creditore, e deve ritenersi esistente una situazione di apparenza scusabile in tutti i casi in cui ambedue si sono comportati in modo da lasciar intendere che l’uno fosse il rappresentante dell’altro. Applicando questo principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, con la quale era stato ritenuto non liberatorio il pagamento di merce effettuato da una società commerciale nelle mani di una persona diversa dal venditore (anch’esso una società commerciale), in un caso in cui l’accipiens era risultato essere il padre dei soci della società venditrice, aveva condotto le trattative per la conclusione dell’affare, aveva girato alla società venditrice parte dei pagamenti ricevuti, ed aveva utilizzato gli uffici della società venditrice per l’invio di fax durante le trattative.

martedì 18 novembre 2008

Incompetenza degli A.T.O. a determinare le tariffe per il servizio di smaltimento rifiuti

La Sez. VI della Commissione Tributaria di Catania ha dichiarato la nullità delle fatture TIA per il servizio di smaltimento rifiuti effettuato dagli ATO sulla base dell'incompetenza di quest'ultime a determinare le tariffe.
Compito che invece spetta inderogabilmente ai Comuni ed in particolare ai Consigli Comunali.
Di seguito la sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CATANIA

LA SEZIONE 06 riunita con l'intervento dei Signori:
VITELLIO DOTT. ITALO Presidente
VERGA DOTT. VINCENZO Relatore
RAMPOLLO DOTT. FLAVIO Giudice
Reg. gen. N. 0000/08
Udienza del 30.09.2008 ore 09:00
Sentenza n. 805/6/2008
Pronunciata il 30.09.2008
Depositata in segreteria il 14.10.2008

Con atto depositato il 14.3.2008, CAIO proponeva ricorso avverso la fattura Tia n. 2007 00000000 del 15.11.2007 per euro 271,80, relativa al conguaglio, periodo di riferimento 1.1.2004-31.12.2005, emessa dalla Serit Sicilia Spa per conto dell'ATO CT 3 " Simeto Ambiente S.p.A", riguardante il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, chiedendone l'annullamento. A sostegno della domanda il ricorrente deduceva: 1) la nullità degli atti impugnati perché la disciplina generale della T.I.A. non poteva che ascriversi alla competenza del Consiglio Comunale; 2) la violazione dell'ari. 49 del D.Lgs. n. 22/97 e del D.P.R. n. 158/'99; 3) incompetenza istituzionale della Serit. L'ente impositore non si costituiva in giudizio. All'odierna udienza camerale, la Commissione poneva in decisione il ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

A giudizio di questa Commissione il ricorso deve essere accolto, fondato appalesandosi il principale motivo di opposizione, poiché esula certamente dalla competenza dell'ATO CT 3 " Simeto Ambiente S.p.a". il potere di determinare l'entità della tariffa per il servizio in questione.
Ed invero, ai sensi del surrichiamato art. 49 del D.Lgs. n. 22/'97, così come modificato dalla legge n. 488/'99, ... i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualsiasi natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o soggette ad uso pubblico sono coperti dai Comuni mediante la istituzione di una tariffa... .composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio... e da una quota rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti. La tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativo al servizi.
Con tale previsione legislativa, com'è evidente, è stata attribuita ai Comuni una specifica funzione, indiscutibilmente di natura pubblicistica, che riguarda espressamente la determinazione della tariffa correlata all'espletamento di un servizio collettivo, funzione alla quale gli stessi, in difetto di una previsione normativa di rango pari a quella della fonte attributiva, non possono rinunziare mediante l'esercizio del potere di senza pregiudicare la legittimità del proprio operato e di ogni provvedimento consequenziale.
A conferma della giustezza di tale principio va richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui il potere di delega, in quanto altera l'ordine delle competenze degli organi abilitati ad emettere atti con efficacia esterna stabilite con atto normativo primario o secondario, necessita di un supporto normativo di valore almeno pari a quello attributivo della competenza ordinaria, in quanto diversamente opinando si renderebbe arbitra l'Amministrazione di spostarla caso per caso, e senza alcuna previsione di limiti aggettivi e soggettivi, con l'effetto di privare l'amministrato delle garanzie che sono insite nelle attribuzioni di uno specifico organo. Nel caso in esame, ad avviso di questa Commissione, le delibere commissariali e consiliari sulle quali ATO CT 3 fonda la propria legittimazione ad istituire le tariffe per il servizio, determinandone l'entità, sono da considerarsi illegittime perché adottate in assenza di disposizione di legge che le autorizzassero e devono essere disapplicate a norma dell'art. 5 della legge 20-03-1865 n. 2248, ali. E, secondo cui il giudice è tenuto ad applicare gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi.
Tale convincimento trova conforto nell'impugnazione proposta dal Commissario dello Stato avverso l'art. 11, comma 1°, della legge regionale n. 17 del 2004, che esplicitamente assegnava alle Società d'Ambito la competenza a determinare la t.i.a., per il motivo che la disposizione adottata si poneva in contrasto con quanto previsto dall'art. 49, comma 8°, del D.Lgs. n. 22/'97 che assegna agli enti locali la competenza a determinare le tariffe relative al servizio in questione. A seguito di tale impugnazione, notisi, la legge regionale suddetta è stata pubblicata sulla G.U.R.S. n. 56 del 31-12-2004 senza la norma sopra menzionata, norma che, quindi, non è mai entrata in vigore.Non vale obiettare che, anche con sentenza recentemente emessa (n. 52 del 2008), il Tribunale Amministrativo Regionale, Sezione Staccata di Catania, ha riconosciuto la competenza delle Società d'Ambito a determinare la t.i.a.
Secondo tale sentenza in verità, era avvenuto un vero e proprio trasferimento di funzioni con relativo mutamento nella titolarità del potere, che dal Comune trasla, in via amministrativa, in capo all'Ente pubblico appositamente costituito. Il trasferimento di funzioni, a giudizio della Sezione staccata di Catania del T.A.R., era reso legittimo dall'art. 1 ter del D.L. 07-02-2003 n. 15 (convertito nella legge 08-04-2003 n.62), il quale, per fronteggiare la persistente eccezionale ed urgente necessità di superare l'emergenza ambientale, aveva espressamente confermato i vari decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri al riguardo emanati tra il 1999 ed il 2002, la nomina del Presidente della Regione siciliana a Commissario delegato ed i poteri e le competenze di cui all'O.M. 31 maggio 1999 n.2983 del Ministro dell'Interno delegato per il coordinamento della protezione civile, nonché le ordinanze di protezione civile ed i conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul territorio nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente allo stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione.
E' stato rilevato nella sentenza che con l'O.M. n. 2983 del 31-05-1999, era stata conferita al Commissario Delegato, ai fini dell'esecuzione del mandato, la potestà di derogare, ove necessario, ad una serie di norme, in esse compreso l'art. 32 della legge 09-06-1990 n. 142, come recepito dalla legge della Regione siciliana 11-12-1991 n. 48, articolo riguardante le competenze dei Consigli comunali, tra le quali rientrava l'istituzione e l'ordinamento dei tributi e la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi.
Ad avviso di questa Commissione, però, contrariamente a quanto affermato dal T.A.R., Sezione staccata di Catania, non può fondatamente ritenersi che con l'O.M. suddetta sia stata conferita al Commissario Delegato la potestà di derogare alla competenza dei Consigli comunali in materia di istituzione ed ordinamento dei tributi e di disciplina delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi, di cui all'art. 32 comma 1 lett. g) della legge sopra richiamata. L'art. 15 della suindicata Ordinanza Ministeriale, infatti, prevede che il Commissario delegato possa derogare ad una serie di norme ma nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. E non è certamente conforme ai principi generati dell'Ordinamento che l'Ente comunale deleghi alle società d'ambito i suoi poteri relativi all'ordinamento dei tributi ed alla disciplina delle tariffe per la fruizione di beni e servizi.
Non può considerarsi decisiva, l'inclusione dell'art. 32 sopra citato nelle norme derogabili ai sensi dell'art. 15 dell'O.M. n. 2983 del 1999, oltre che per le considerazioni svolte, per il fatto che l'art. 32, oltre alla competenza dei Consigli comunali nella materia testé indicata, prevede quella degli stessi Consigli per tutta una serie di arti, per i quali nessun ostacolo normativo osta alla deroga. Tanto ciò è vero che l'art. 15 dell'Ordinanza sopra richiamata non prevede la facoltà di derogare all'ari. 49 del D.L.vo n. 22/'97, secondo il quale la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti è determinata dagli enti locali.
Né vale richiamare, come fa in un certo qual modo il T. A.R. nella succitata sentenza, il D.L.vo 03-04-2006 n. 152 (Norme in materia ambientale), non applicabile nella specie perché non ancora in vigore. L'art. 238, comma 6°, del D.L.vo testé menzionato, infatti,prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del decreto medesimo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentiti la Conferenza Stato regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali e i soggetti interessati, avrebbe disciplinato con apposito regolamento i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa. Secondo lo stesso articolo, la tariffa sarebbe stata determinata dalle Autorità d'ambito entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento suddetto (art. 238, comma 3) e fino all'emanazione del regolamento e fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa avrebbero continuato ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.
Peraltro, la tesi accolta da questa Commissione trova riscontro nelle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione prima (v. le sentenze a 2290/'07e2995/'07).
Con tali sentenze, il Tribunale Amministrativo Regionale, difformemente da quanto deciso dalla sua Sezione staccata di Catania, ha statuito che, in attesa dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/2006, il potere di determinare la tariffa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti spetta al Consiglio Comunale. A tale conclusione il Tribunale Amministrativo Regionale è pervenuto con le sentenze sopra richiamate considerando: che il legislatore, con l’art. 49 comma 8° del D.L.vo n. 22/'92, aveva espressamente previsto che la tariffa era determinata dagli Enti locali; che anche secondo il D.P.R. n. 158/'99 "l'Ente locale determina la tariffa" sulla base del piano finanziario; che alla contraria tesi non giovava il riferimento alle varie ordinanze emesse dal Presidente della Regione - Commissario Straordinario all'emergenza rifiuti; che, del resto, l'O.M. n. 2983 del 31-05-1999 non attribuiva al Commissario Straordinario il potere di apportare deroghe alla previsione normativa dell'art. 49 D. Lgs. n. 22/'97; che lo stesso piano di gestione per i rifiuti in Sicilia non risultava utile alla tesi contraria, prevedendo che "la tariffa è determinata dagli Enti locali ed applicata e riscossa dagli Enti gestori del servizio"; che il mantenimento del potere di determinazione della tariffa in capo all'ente comunale, così come previsto dall'ari 49 del D. Lgs. n. 22/'92, non costituiva ostacolo alla funzione organizzativa e gestoria dell’A.T.O.; che, ove fosse stato già legittimamente riconosciuto alla società di gestione il potere di fissare la tariffa, non si comprenderebbe il motivo per cui il legislatore regionale aveva attribuito, con l’art. 11, comma 1°, della Legge reg. n. 17 del 2004, alle Società d'ambito detto potere; che tale norma, comunque, era stata impugnata dal Commissario dello Stato per illegittimità costituzionale e non era stata, poi, pubblicata; che impropriamente era stata richiamata la novella legislativa di cui al D. Lgs. n. 152/'06, con la quale veniva attribuito alle Autorità d'Ambito, peraltro diverse dalle precedenti Società d'ambito, il potere di determinare la tariffa, perché non ancora in vigore.Le delibere commissariali e consiliari sulle quali TATO CT 3 fonda il suo operato, pertanto, non possono non essere dichiarate illegittime.
L'illegittimità delle ordinanze di cui si è detto, ovviamente, si estende alla fattura oggetto del presente giudizio, che pertanto deve essere annullata. Impregiudicato resta, ovviamente, il diritto dell'ATO CT 3 di richiedere in altra competente sede e sotto altro profilo, la determinazione e la liquidazione di un corrispettivo per il servizio prestato.
Per quanto concerne le spese processuali, ritiene la Commissione, avuto riguardo alla natura della controversia ed alle peculiarità delle questioni trattate, che ricorrano giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti.

P. Q. M.

La Commissione accoglie il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Catania il 30.09.2008.

mercoledì 12 novembre 2008

Il danno esistenziale esiste? La posizione delle Sezioni Unite

Cassazione civile , S.S.U.U., sentenza 11.11.2008 n° 26972

Negli ultimi anni la figura del danno esistenziale ha scritto importanti momenti, oscillando tra terreni fertili ed aridi, tra favorevoli e contrari, convegni e libri, emozioni e paure.
In particolare, era dubbio cosa si dovesse intendere con la categoria danno esistenziale; altresì, non era chiaro se tale figura, anche laddove esistente, potesse essere cumulata con il danno biologico (inteso come lesione del diritto alla salute, ex art. 32 Cost.) e danno morale (inteso, tradizionalmente, come transitorio turbamento psicologico).
Finalmente, con una presa di posizione decisa, le Sezioni Unite hanno affermato che il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., non può essere suddiviso in diverse poste risarcitorie, ma va considerato essenzialmente come unicum.
La posizione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite affrontano, ex professo, la problematica de qua.
Innanzitutto, l’art. 2059 c.c. va completato con gli elementi strutturali dell’art. 2043 c.c.
Poi, esistono ipotesi codificate di risarcimento del danno non patrimoniale in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 1. n. 117/199), danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, 1. n. 675/1996; impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, d.lgs. n. 286/1998; adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 1. n. 89/2001; mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.
Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 ce, il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art. 2043 ce e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art. 2059 ce, norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria).
Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto[1]).
Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008).
Al di fuori di tali casi, è posssibile ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, ma solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata[2]. Pertanto, non possono essere risarcite tutte le lezioni alla persona ovvero tutti i pregiudizi non patrimoniali, ma soltanto quelli che realizzano un’ingiustizia costituzionalmente qualificata.
Vanno abbandonate le sottocategorie del danno esistenziale[3] e danno morale[4], perché bisogna solo verificare la lesione di diritti inviolabili della persona; inoltre, la lettura che l’interprete deve seguire è quella dell’art. 2059 c.c. con i diritti costituzionali inviolabili, che non vanno intesi come un numerus clausus: la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana[5].
Il c.d. pregiudizio di tipo esistenziale è, quindi, risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.
La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza[6].
Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità[7] ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).
Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.
Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona[8], della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale.
Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni.
Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art. 1174 ce, secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale.
Anche nel danno non patrimoniale può confluire lo schema logico risarcitorio ex art. 1223 c.c., che la conseguenza che anche in questa materia bisognerà tenere presente sia la perdita subita, quanto la mancata utilità[9].
Per quanto riguarda la complicatissima tematica del danno tanatologico[10], inerente all’irrisarcibilità del danno da morte immediata, che ipotizzava un vulnus al sistema risarcitorio (perché si rischiava di lasciar priva di tutela giuridica la vittima dell’illecito sol perché non sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, riducendo notevolmente le possibilità risarcitorie), arrivando alla soluzione paradossale ed incostituzionale per cui si puniva più gravemente la lesione aggravata dalla morte rispetto alla c.d. morte immediata e diretta, la Cassazione afferma che il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.
Riflessioni brevi a caldo
Le Sezioni Unite indicano la strada da seguire, in materia di danni alla persona; vi è, invero, una certa apertura in favore della persona umana e dei sui aspetti dinamico-relazionali, ma si procede ad una nuova sistemazione: si è passati dal danno esistenziale, come categoria, all’ingiustizia costituzionalmente qualificata.
Non vi è, necessariamente, una deminutio di tutela, ma una visione prospettica diversa: non vi è più una categoria, ma una serie di danni relativi a lesioni di diritti inviolabili della persona umana, da verificare e leggere di volta in volta, attraverso una lettura combinata dell’art. 2059 c.c. con la Groundnorm.
Se, diversamente, fosse stata accolta la prospettiva che voleva confermata la categoria del danno esistenziale si sarebbe corso il rischio, secondo la Corte, di portare l’art. 2059 c.c., che è a carattere tipico, nell’atipicità caratterizzante l’art. 2043 c.c.; id est, il danno esistenziale non poteva essere riconosciuto perché non tipico, in contrasto con la lettera dello stesso art. 2059 c.c.
Poiché l’art. 2059 c.c. è tipico, allora, può essere collegato colo con norme (come quelle della Costituzione) e non con la categoria del danno esistenziale, che non presentava i caratteri della tipicità.
La tutela, poi, si è estesa a favore del creditore danneggiato dall’inadempimento, perché potrà fruire anche del risarcimento del danno non patrimoniale, attraverso l’esaltazione dell’art. 1174 [11] c.c. (relativo al c.d. interesse non patrimoniale), senza dover agire in via aquiliana cumulata con l’azione contrattuale, perché bisogna garantire almeno il rimedio risarcitorio nei casi di lesione di diritti inviolabili della persona umana (diversamente, vi sarebbe un vulnus all’art. 24 Cost.); interessante anche l’applicazione dell’art. 1223[12] c.c. al danno non patrimoniale, con la conseguenza che dovrà essere risarcito non solo la perdita, ma anche il mancato guadagno: nell’ipotesi di danno biologico, ad esempio, non si dovrà tenere presente solo la perdita di una parte del corpo, ma anche le mancate utilità derivanti da tale perdita (rinunce forzate a stare con i figli, giocare con loro, oppure stare con la moglie, guidare, ecc.), purchè individuate a livello costituzionale, accogliendo pure tesi estensive, per merito della clausola generale dell’art. 2 Cost.

venerdì 7 novembre 2008

RISARCIMENTO DEL DANNO - DANNI FUTURI - POSTUMI PERMANENTI CONSEGUENTI A SINISTRO STRADALE - MINORE NON SVOLGENTE ATTIVITA' LAVORATIVA - LIQUIDAZIONE

SENTENZA N. 24331 DEL 30/09/2008

La Terza Sezione civile, pronunciandosi in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, ha consolidato e perfezionato un principio, già introdotto da Sez. III, n. 23298 del 14.12.2004, riguardante il tema della commisurazione del danno derivante al minore non svolgente alcuna attività lavorativa. Al riguardo ha affermato che quando detto minore subisca, in conseguenza di un sinistro stradale, lesioni personali con postumi permanenti, incidenti sulla capacità lavorativa futura, il relativo danno da risarcire - consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata - può esser determinato ex art. 1226 c.c. in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal minore stesso, nonchè della posizione economico-sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, può ricorrere, in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l'una o l'altro, di merito, è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata. Nella stessa pronuncia trovasi anche affermato, conformemente a rv. 600386, che l'assicuratore, a seguito della richiesta del danneggiato formulata ex art. 22 della legge n. 990 del 1969, è direttamente obbligato ad adempiere nei confronti del danneggiato medesimo il debito d'indennizzo derivante dal contratto di assicurazione e che, una volta scaduto il termine di sessanta giorni da detta norma previsto, egli è in mora verso il danneggiato, qualora sia stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all' "an" ed al "quantum" della responsabilità dell’assicurato. In tal caso l'obbligazione verso il danneggiato dell'assicuratore può superare i limiti del massimale per colpevole ritardo (per "mala gestio" cosiddetta impropria) a titolo di responsabilità per l'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria e, quindi, senza necessità di prova del danno, quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali, ed oltre questo livello in presenza di allegazione e prova (anche tramite presunzioni) di un danno maggiore.

PROCESSO CIVILE –INCAPACITA' A TESTIMONIARE

SENTENZA N. 10744 DEL 24/04/2008

Il coniuge in comunione legale dei beni è incapace a testimoniare nelle cause aventi ad oggetto la domanda di pagamento per una prestazione d’opera non imprenditoriale, i cui proventi ricadono immediatamente in comunione (sentenza n. 10398), mentre non è incapace a testimoniare nelle cause aventi ad oggetto il pagamento di una prestazione di carattere imprenditoriale, perché i crediti derivanti dall’esercizio dell’impresa diventano comuni solo al momento dello scioglimento della comunione (sentenza n. 10744).

martedì 4 novembre 2008


Circolazione stradale

Trasporto contra legem su ciclomotore – Inoperatività della garanzia assicurativa

Inoperatività della garanzia assicurativa in caso di trasporto contra legem su ciclomotore non omologato per il trasporto di soggetti diversi dal conducente.

Si riportano di seguito due sentenze rese, rispettivamente, dalla Corte di Appello di Milano e dal Tribunale di Catania, in cui sono state accolte le eccezioni di inoperatività della garanzia sollevate dalle compagnie di assicurazioni convenute in giudizio.


Corte di Appello di Milano, sentenza n°1615/08.

La Corte nell’accogliere la doglianza della Compagnia di assicurazione appelante, coglie l’occasione per precisare che “la polizza stipulata dal proprietario del ciclomotore con la X Ass.ni s.p.a. non prevede copertura per il rischio di danni ai terzi trasportati ed è del tutto pacifico che per detto ciclomotore vigesse il divieto di trasporto di persone oltre al conducente. Ne deriva che non solo il rischio dei danni a terzi trasportati non risulta contrattualmente previsto, ma l’esistenza di un divieto direttamente posto dalla legge in ordine al trasporto di terzi su ciclomotori come quello in esame impedisce di ritenere che i danni riportati da soggetti che, in violazione di tale divieto, abbiano scientemente scelto di essere trasportati sul mezzo, possano essere ricompresi tra quelli risarcibili in forza della assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile. Detta assicurazione nel caso di ciclomotori non omologati per il trasporto di persone, sicuramente valida verso i terzi utenti della strada, incolpevolmente danneggiati dalla circolazione del mezzo, non si estende, a giudizio di questa Corte, ai terzi danneggiati trasportati sul ciclomotore che, accettando di salire sul mezzo in questione, abbiano posto in essere un comportamento contra legem. Non si vede, infatti, come si possa ritenere che il legislatore che all’art. 170 del D.Lgs. n. 285/92 ha ribadito il divieto per i ciclomotori di trasporto di terzi abbia, poi, nel prevedere all’art. 193 della medesima disposizione di legge l’obbligatorietà dell’assicurazione per la r.c.a. per i ciclomotori, inteso estendere la copertura di detta assicurazione anche ai danni dei trasportati sui ciclomotori dopo aver categoricamente vietato detto trasporto”. Ed ancora, prosegue la Corte “la mancanza di una previsione contrattuale o di legge di copertura del rischio per i danni ai trasportati su ciclomotore non omologato al trasporto di persone esclude di ritenere l’operatività dell’art. 18, 2° co. L. n. 990/69 che ovviamente presuppone l’esistenza della previsione (contrattuale o legale) di copertura del rischio trasportati, in questa sede esclusa”.

Tribunale di Catania, sez. V, sentenza del 25 giugno 2008, n°. 2911.

Pronunciandosi in senso analogo alla sentenza della Corte di Appello di Milano sopra riportata, il Tribunale di Catania, nel riformare la sentenza del Giudice di Pace (n. 1709/2005), afferma che, non essendo stata data prova alcuna che il contratto di assicurazione stipulato con la Compagnia di assicurazione prevedesse una copertura anche per i danni causati ad un eventuale terzo, illecitamente trasportato sul ciclomotore, e non potendo ritenersi tale copertura compresa fra le ipotesi di assicurazione obbligatoria R.C.A. di cui alla L. n. 990/69, “per l’ovvia ragione che quell’obbligo assicurativo non può essere previsto per una ipotesi di trasporto vietata dalla legge”, non può in alcun modo ritenersi operativa la garanzia assicurativa.