SENTENZA N. 19702 DEL 13 NOVEMBRE 2012
Le Sezioni unite hanno stabilito, nell’interpretare l’art. 1495 cod. civ., che l’impegno del venditore all’ eliminazione dei vizi della cosa, accettato dal compratore, comporta il sorgere del corrispondente diritto, soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto rimangono soggetti alla prescrizione annuale, dalla norma specificamente prevista.
martedì 27 novembre 2012
venerdì 1 giugno 2012
Danno da vacanza rovinata e la prova dell'inadempimento
Cassazione civile , sez. III, sentenza 11.05.2012 n° 7256
Nel caso di vacanza rovinata il danno non patrimoniale è risarcibile grazie alla raggiunta prova dell’inadempimento contrattuale che esaurisce in sé la prova del verificarsi del danno.
In tema di danno non patrimoniale "da vacanza rovinata", inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della "finalità turistica" (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.
E' questo il principio di diritto in tema di danno da vacanza rovinata, individuato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7256.
Nel caso in questione, due coniugi convenivano in giudizio la società organizzatrice il loro viaggio di nozze ed il Tour operator a cui si erano rivolti, chiedendo la condanna in solido dei danni subiti per servizi non goduti e per le somme spese durante il viaggio stesso, comprendendo anche il danno non patrimoniale da vacanza rovinata.
Il Giudice di Pace condannava il Tour operator al pagamento della somma di € 738 e le spese processuali. Il condannato proponeva ricorso principale, mentre i due coniugi proponevano a loro volta appello incidentale: questa volta il Tribunale, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, condannava in solido l’organizzatrice e il Tour operator al pagamento della somma di € 697 oltre accessori.
In sede di ricorso cassazione gli aspetti che qui interessano investono anche una ulteriore questione centrale: se, nell'ipotesi di inadempimento o inesatta esecuzione del contratto rientrante nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i “pacchetti turistici” il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, in senso stretto, quale pregiudizio conseguente alla lesione dell'interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, e quindi, quando non vengano in rilievo lesioni all'integrità psicofisica tutelate dall'art. 32 Cost., sia risarcibile, ex art. 2059 cod. civ., che, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, stante il carattere tipico della tutela di interessi non connotati da rilevanza economica, necessita di una fonte normativa ordinaria espressa, o del fondamento costituzionale, in riferimento ai diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost., 4, 13, 29, 30), e al diritto alla salute (art. 32 Cost.), o di una fonte comunitaria, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno.
Gli Ermellini offrono una risposta positiva alla questione facendo riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed alla dottrina prevalente.
In particolare, si ritiene che le espressioni generiche contenute nel d.lgs. n. 111 del 1995 siano comprensive anche del danno non patrimoniale. D’altra parte, in una visione di insieme che faccia riferimento anche al recente c.d. Codice del Turismo – anche se non applicabile nel caso in questione ratione temporis – non può dimenticarsi che si prevede espressamente all’art. 47 il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In particolare, si prevede che, qualora l'inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta”.
Altra questione collegata è se nel caso di inesatta esecuzione del contratto, la lesione dell'interesse alla vacanza contrattualmente pattuita, che trova riconoscimento nella disciplina normativa del pacchetto turistico, posta a tutela del consumatore, debba o meno avere il carattere della gravità, nel senso che l'offesa di tale interesse, per essere risarcibile, debba superare una soglia minima di tollerabilità.
I giudici del Palazzaccio, anche se, a stretto rigore normativo, non possono far altro che evidenziare l’insussistenza di limiti normativi ed ermeneutici, tuttavia ritengono che limiti discendano – anche s e con caratterizzazione diversa – dall’art. 2 della Costituzione. Infatti – si legge nella sentenza -, in riferimento ai diritti inviolabili della persona, la necessità della gravità della lesione dell'interesse, che per essere risarcibile deve superare una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nel dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., che impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza e, quindi, in riferimento al rapporto tra singolo individuo e singoli, ma indifferenziati, individui componenti la società civile. Per quanto riguarda il diritto alla vacanza contrattualmente pattuita, la necessità della gravità della lesione dell'interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nella sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che accompagna il contratto in ogni sua fase; regola specificativa - nel contesto del rapporto obbligatorio tra soggetti determinati - degli inderogabili doveri di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., e la cui violazione può essere indice rivelatore dell'abuso del diritto, nella elaborazione teorica e giurisprudenziale.
La richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali – chiosano i giudici di Piazza Cavour - per disagi e fastidi da qualificarsi minimi, avuto presente la causa in concreto del contratto, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi contrattualmente pattuiti, e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore/creditore.
In mancanza di delimitazioni normative, spetta al giudice del merito individuare il superamento o meno di tale soglia, avuto riguardo alla causa in concreto - costituita dalla “finalità turistica”, che qualifica il contratto “determinando l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero emergente dal complessivo assetto contrattuale, e considerando l'autonoma valutabilità dell'interesse allo svago e riposo rispetto al danno patrimoniale subito, atteso che il primo, a seconda del peso della prestazione contrattuale non adempiuta, può ben superare il secondo e non può appiattirsi su questo.
Nella specie, il giudizio sul superamento della soglia minima di lesione è implicito nella sentenza di merito, in considerazione della irripetibilità della vicenda trattata riferendosi ad un viaggio di nozze.
Da ciò il rigetto dei ricorsi e la compensazione della spese.
Nel caso di vacanza rovinata il danno non patrimoniale è risarcibile grazie alla raggiunta prova dell’inadempimento contrattuale che esaurisce in sé la prova del verificarsi del danno.
In tema di danno non patrimoniale "da vacanza rovinata", inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della "finalità turistica" (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.
E' questo il principio di diritto in tema di danno da vacanza rovinata, individuato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7256.
Nel caso in questione, due coniugi convenivano in giudizio la società organizzatrice il loro viaggio di nozze ed il Tour operator a cui si erano rivolti, chiedendo la condanna in solido dei danni subiti per servizi non goduti e per le somme spese durante il viaggio stesso, comprendendo anche il danno non patrimoniale da vacanza rovinata.
Il Giudice di Pace condannava il Tour operator al pagamento della somma di € 738 e le spese processuali. Il condannato proponeva ricorso principale, mentre i due coniugi proponevano a loro volta appello incidentale: questa volta il Tribunale, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, condannava in solido l’organizzatrice e il Tour operator al pagamento della somma di € 697 oltre accessori.
In sede di ricorso cassazione gli aspetti che qui interessano investono anche una ulteriore questione centrale: se, nell'ipotesi di inadempimento o inesatta esecuzione del contratto rientrante nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i “pacchetti turistici” il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, in senso stretto, quale pregiudizio conseguente alla lesione dell'interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, e quindi, quando non vengano in rilievo lesioni all'integrità psicofisica tutelate dall'art. 32 Cost., sia risarcibile, ex art. 2059 cod. civ., che, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, stante il carattere tipico della tutela di interessi non connotati da rilevanza economica, necessita di una fonte normativa ordinaria espressa, o del fondamento costituzionale, in riferimento ai diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost., 4, 13, 29, 30), e al diritto alla salute (art. 32 Cost.), o di una fonte comunitaria, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno.
Gli Ermellini offrono una risposta positiva alla questione facendo riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed alla dottrina prevalente.
In particolare, si ritiene che le espressioni generiche contenute nel d.lgs. n. 111 del 1995 siano comprensive anche del danno non patrimoniale. D’altra parte, in una visione di insieme che faccia riferimento anche al recente c.d. Codice del Turismo – anche se non applicabile nel caso in questione ratione temporis – non può dimenticarsi che si prevede espressamente all’art. 47 il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In particolare, si prevede che, qualora l'inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta”.
Altra questione collegata è se nel caso di inesatta esecuzione del contratto, la lesione dell'interesse alla vacanza contrattualmente pattuita, che trova riconoscimento nella disciplina normativa del pacchetto turistico, posta a tutela del consumatore, debba o meno avere il carattere della gravità, nel senso che l'offesa di tale interesse, per essere risarcibile, debba superare una soglia minima di tollerabilità.
I giudici del Palazzaccio, anche se, a stretto rigore normativo, non possono far altro che evidenziare l’insussistenza di limiti normativi ed ermeneutici, tuttavia ritengono che limiti discendano – anche s e con caratterizzazione diversa – dall’art. 2 della Costituzione. Infatti – si legge nella sentenza -, in riferimento ai diritti inviolabili della persona, la necessità della gravità della lesione dell'interesse, che per essere risarcibile deve superare una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nel dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., che impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza e, quindi, in riferimento al rapporto tra singolo individuo e singoli, ma indifferenziati, individui componenti la società civile. Per quanto riguarda il diritto alla vacanza contrattualmente pattuita, la necessità della gravità della lesione dell'interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nella sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che accompagna il contratto in ogni sua fase; regola specificativa - nel contesto del rapporto obbligatorio tra soggetti determinati - degli inderogabili doveri di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., e la cui violazione può essere indice rivelatore dell'abuso del diritto, nella elaborazione teorica e giurisprudenziale.
La richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali – chiosano i giudici di Piazza Cavour - per disagi e fastidi da qualificarsi minimi, avuto presente la causa in concreto del contratto, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi contrattualmente pattuiti, e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore/creditore.
In mancanza di delimitazioni normative, spetta al giudice del merito individuare il superamento o meno di tale soglia, avuto riguardo alla causa in concreto - costituita dalla “finalità turistica”, che qualifica il contratto “determinando l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero emergente dal complessivo assetto contrattuale, e considerando l'autonoma valutabilità dell'interesse allo svago e riposo rispetto al danno patrimoniale subito, atteso che il primo, a seconda del peso della prestazione contrattuale non adempiuta, può ben superare il secondo e non può appiattirsi su questo.
Nella specie, il giudizio sul superamento della soglia minima di lesione è implicito nella sentenza di merito, in considerazione della irripetibilità della vicenda trattata riferendosi ad un viaggio di nozze.
Da ciò il rigetto dei ricorsi e la compensazione della spese.
giovedì 10 maggio 2012
Rc auto, vizi di contenuto della richiesta risarcitoria: quali conseguenze? Corte Costituzionale , sentenza 03.05.2012 n° 111
In tema di risarcimento danni da circolazione stradale, come noto, l’art. 145 Cod. Ass. Priv. subordina la proponibilità della domanda giudiziaria di risarcimento del danno alla persona, riportato in conseguenza di sinistro stradale, al decorso del c.d. spatium deliberandi di 90 giorni a partire dal momento in cui il danneggiato abbia presentato all’impresa di assicurazione un’istanza di risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, “avendo osservato le modalità e i contenuti previsti dall’articolo 148”.
L’art. 148, in particolare, prevede che la richiesta di risarcimento
1) deve contenere:
l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento;
la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro;
2) deve essere accompagnata:
dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite;
da attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti;
dalla dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del decreto legislativo n. 209 del 2005, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima.
Una richiesta risarcitoria che non risponda a tutti i requisiti formali di indicazione, descrizione e allegazione richiesti dall’art. 148, presenta un vizio di contenuto di per sé idoneo ad impedire il decorso dello spatium deliberandi previsto dall’art. 145 e determina, pertanto, l’improponibilità dell’azione risarcitoria e della domanda giudiziale.
Lo ha confermato la Corte Costituzionale nella sentenza 3 maggio 2012, n. 111 in cui la Consulta ha inteso precisare che l’istituto dell’improponibilità della domanda così inteso, rigorosamente risultante dal combinato disposto degli artt. 145 co. 1 e 148 co. 2 C.d.S., è pienamente conforme al dettato della Costituzione e della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Secondo i Giudici, l’onere di conformazione della richiesta risarcitoria non menoma in alcun modo, né sul piano sostanziale né sul piano processuale, la tutela del danneggiato, ma al contrario, ponendosi in rapporto funzionale con l’obbligo – posto dalla medesima normativa a carico dell’assicuratore – di formulare una congrua offerta risarcitoria in tempi prestabiliti – ha la funzione di rafforzare le possibilità di difesa offerte al danneggiato.
L’onere di diligenza preteso dal danneggiato, in altri termini, si raccorda coerentemente con l’obbligo di cooperazione imposto all’assicuratore.
La Corte Costituzionale, per altro verso, evidenzia come la previsione normativa in esame – in ogni caso – non produce alcuna restrizione di tutela sul piano sostanziale, essendo destinata ad esaurire completamente i suoi effetti sul piano processuale. La declaratoria di improponibilità dell’azione ex artt. 145 e 148 Cod. Ass. Priv., infatti, non preclude al danneggiato la possibilità di riproporre la domanda risarcitoria, nel rispetto delle predette disposizioni ed entro i termini di prescrizione del diritto, curando di sottolineare che, trattandosi di pronuncia di rito, la domanda dichiarata improponibile interrompe i termini di prescrizione, che però iniziano subito a decorrere nuovamente, senza che possa realizzarsi l’effetto “interruttivo/sospensivo” previsto dall’art. 2945 co. 2 c.c.
I principi giuridici autorevolmente espressi in Corte Costituzionale 3 maggio 2012, n. 111 sono destinati ad incidere sensibilmente sugli orientamenti della giurisprudenza di merito, in special modo dei giudici di pace, quotidianamente chiamata a decidere sulle eccezioni di improponibilità sollevate dalle compagnie di assicurazione e, molto spesso, propensi a fare propria un’interpretazione piuttosto elastica e non formalistica dei precetti normativi in esame.
In questa prospettiva, non va sottovalutato che la Consulta, nella fattispecie, ha deciso la questione di legittimità con una “semplice” sentenza di rigetto, non ricorrendo allo strumento della sentenza interpretativa.
I Giudici costituzionali, in parole povere, hanno ritenuto:
a) che l’art. 145 co. 1 Cod. Ass. Priv., letto in combinato disposto con il successivo art. 148 co. 2, debba essere interpretato secondo il significato letterale delle norme, nel senso che la violazione dell’onere di conformazione della richiesta risarcitoria a tutti i requisiti formali richiesti comporta l’improponibilità della domanda giudiziale;
b) che la disposizione, così rigorosamente interpretata, non contrasta con principi di rango costituzionale.
giovedì 21 aprile 2011
E’ vessatoria la clausola che vieta l’utilizzo della tessera SKY al di fuori della propria abitazione.
Uso della carta Sky fuori casa: eccessivo l'ammontare della penale prevista
Tribunale Sulmona, sentenza 25.02.2011 n° 110
E’ vessatoria la clausola che vieta l’utilizzo della tessera SKY al di fuori della propria abitazione.
Così ha precisato il Tribunale di Sulmona, a firma della dr.ssa Ciotti, nella sentenza 25 febbraio 2011, che ha annullato una penale da circa 7000,00 euro per l’uso della card sky fuori casa.
Il giudice del merito, oltre all’annullamento della clausola ritenuta vessatoria, ha fatto di più, entrando nel merito della questione e “ricostruendo” analiticamente la vicenda.
Un associato aveva portato la tessera Sky dalla propria abitazione nel locale della madre al fine di guardare la partita con alcuni amici.
Tale comportamento è stato giudicato “non corretto” da Sky che provvedeva, chiamando in giudizio il soggetto, alla richiesta del pagamento della penale di quasi euro 7000,00, per “presunta violazione” dell’articolo 5 del contratto stipulato in quanto “avrebbe utilizzato abusivamente il proprio abbonamento residenziale”
Il Giudice del tribunale di Sulmona occupandosi del modus operandi degli ispettori Sky ha sollevato dubbi circa la veridicità dei fatti affermati con la conseguente invalidità dei verbali redatti e non controfirmati dai “presunti trasgressori”.
Nella decisione che qui si commenta il giudice ha, quindi, messo in evidenza che la clausola in questione non era stata oggetto di trattativa con il consumatore.
Tale requisito è richiesto a pena di nullità dal codice del consumo, visto l’eccessivo ammontare della somma richiesta a titolo di penale.
Nelle controversie tra consumatore e professionista, infatti, oltre alla disciplina generale in tema di condizioni generali del contratto ex art. 1341 c.c., trova applicazione anche la disciplina di tutela del consumatore dettata dal decreto legislativo n. 206/2005, c.d. codice del consumo.
La Direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, n. 93113, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 52/1996, ha introdotto nel codice civile una nuova disciplina volta a stabilire che le clausole contrattuali devono essere redatte in maniera chiara e comprensibile in quanto, in caso di dubbio, il contratto dovrà essere interpretato nel senso più favorevole al consumatore.
Le clausole vessatorie, quindi, devono essere considerate inefficaci a meno che il professionista non dimostri che esse sono frutto della trattativa contrattuale con il cliente; questo, nella vicenda oggetto di commento non è accaduto....
Tribunale Sulmona, sentenza 25.02.2011 n° 110
E’ vessatoria la clausola che vieta l’utilizzo della tessera SKY al di fuori della propria abitazione.
Così ha precisato il Tribunale di Sulmona, a firma della dr.ssa Ciotti, nella sentenza 25 febbraio 2011, che ha annullato una penale da circa 7000,00 euro per l’uso della card sky fuori casa.
Il giudice del merito, oltre all’annullamento della clausola ritenuta vessatoria, ha fatto di più, entrando nel merito della questione e “ricostruendo” analiticamente la vicenda.
Un associato aveva portato la tessera Sky dalla propria abitazione nel locale della madre al fine di guardare la partita con alcuni amici.
Tale comportamento è stato giudicato “non corretto” da Sky che provvedeva, chiamando in giudizio il soggetto, alla richiesta del pagamento della penale di quasi euro 7000,00, per “presunta violazione” dell’articolo 5 del contratto stipulato in quanto “avrebbe utilizzato abusivamente il proprio abbonamento residenziale”
Il Giudice del tribunale di Sulmona occupandosi del modus operandi degli ispettori Sky ha sollevato dubbi circa la veridicità dei fatti affermati con la conseguente invalidità dei verbali redatti e non controfirmati dai “presunti trasgressori”.
Nella decisione che qui si commenta il giudice ha, quindi, messo in evidenza che la clausola in questione non era stata oggetto di trattativa con il consumatore.
Tale requisito è richiesto a pena di nullità dal codice del consumo, visto l’eccessivo ammontare della somma richiesta a titolo di penale.
Nelle controversie tra consumatore e professionista, infatti, oltre alla disciplina generale in tema di condizioni generali del contratto ex art. 1341 c.c., trova applicazione anche la disciplina di tutela del consumatore dettata dal decreto legislativo n. 206/2005, c.d. codice del consumo.
La Direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, n. 93113, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 52/1996, ha introdotto nel codice civile una nuova disciplina volta a stabilire che le clausole contrattuali devono essere redatte in maniera chiara e comprensibile in quanto, in caso di dubbio, il contratto dovrà essere interpretato nel senso più favorevole al consumatore.
Le clausole vessatorie, quindi, devono essere considerate inefficaci a meno che il professionista non dimostri che esse sono frutto della trattativa contrattuale con il cliente; questo, nella vicenda oggetto di commento non è accaduto....
mercoledì 30 marzo 2011
Overbooking, il tour operator risponde dei danni
Trib. di Bergano, 28 settembre 2010, n. 1999
Per la corte lombarda è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking.
L'art. 93, ult. comma, cod. consumo prevede che "l 'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti".
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, l'organizzatore o venditore di un pacchetto turistico -secondo quanto stabilito nell'art. 14, D.Lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva comunitaria e applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del Consumo)- è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (come il vettore), salvo il diritto a rivalersi nei confronti di questi ultimi (cfr.: Cass., 13 novembre 2009, n. 24044).
Nel caso di specie, posto che non vi è prova in ordine all'inadempimento diretto del tour operator convenuto ed in particolare del fatto che lo stesso già sapesse da giorni del blocco dei voli della compagnia di bandiera, risultando piuttosto che lo stesso lo apprese soltanto il giorno prima, in presenza dell'inadempimento del vettore, si tratta di stabilire, alla luce delle circostanze del caso di specie, quali danni abbiano in concreto subito gli attori a causa della cancellazione del volo di ritorno.
La compagnia aerea inadempiente provvide a riproteggere i passeggeri dei voli cancellati, senza costi aggiuntivi, ma gli attori per ottenere la riprotezione, poterono viaggiare soltanto in classe business anziché in economy, corrispondendo una cifra aggiuntiva ciascuno al funzionario della compagnia aerea.
A titolo di danno patrimoniale è stato riconosciuto a ciascuno degli attori il rimborso di questo importo.
Per quanto attiene al danno non patrimoniale, in ragione degli elementi di fatto acquisiti, è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking.
Tale danno va liquidato equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa.
Per la corte lombarda è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking.
L'art. 93, ult. comma, cod. consumo prevede che "l 'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti".
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, l'organizzatore o venditore di un pacchetto turistico -secondo quanto stabilito nell'art. 14, D.Lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva comunitaria e applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del Consumo)- è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (come il vettore), salvo il diritto a rivalersi nei confronti di questi ultimi (cfr.: Cass., 13 novembre 2009, n. 24044).
Nel caso di specie, posto che non vi è prova in ordine all'inadempimento diretto del tour operator convenuto ed in particolare del fatto che lo stesso già sapesse da giorni del blocco dei voli della compagnia di bandiera, risultando piuttosto che lo stesso lo apprese soltanto il giorno prima, in presenza dell'inadempimento del vettore, si tratta di stabilire, alla luce delle circostanze del caso di specie, quali danni abbiano in concreto subito gli attori a causa della cancellazione del volo di ritorno.
La compagnia aerea inadempiente provvide a riproteggere i passeggeri dei voli cancellati, senza costi aggiuntivi, ma gli attori per ottenere la riprotezione, poterono viaggiare soltanto in classe business anziché in economy, corrispondendo una cifra aggiuntiva ciascuno al funzionario della compagnia aerea.
A titolo di danno patrimoniale è stato riconosciuto a ciascuno degli attori il rimborso di questo importo.
Per quanto attiene al danno non patrimoniale, in ragione degli elementi di fatto acquisiti, è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking.
Tale danno va liquidato equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa.
mercoledì 29 dicembre 2010
Danni causati dall'attraversamento della strada di un animale selvatico? La Regione è responsabile
Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 16 Novembre 2010 , n. 23095
Le Regioni devono predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose. Non solo. Nell’ipotesi di danno provocato da fauna selvatica e il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, l’ente territoriale può essere chiamato a rispondere ex art. 2043 c.c.
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 23095 depositata il 16 novembre 2010 - ha respinto il ricorso della Regione contro la sentenza del giudice di merito, secondo la quale la responsabilità del sinistro, causato da un grosso cinghiale che aveva repentinamente attraversato la strada, era addebitale alla Regione Toscana e alla Provincia di Grosseto per violazione del precetto del neminem laedere ex art. 2043 c.c..
Secondo i giudici di legittimità, l’art. 1 della legge n. 157/1992 dispone che “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”.
La norma prevede anche che le Regioni a statuto ordinario devono emanare disposizioni relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie selvatiche.
Infine, la S.C. sostiene che “per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria è costituito a cura di ogni Regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti”.
Le Regioni devono predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose. Non solo. Nell’ipotesi di danno provocato da fauna selvatica e il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, l’ente territoriale può essere chiamato a rispondere ex art. 2043 c.c.
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 23095 depositata il 16 novembre 2010 - ha respinto il ricorso della Regione contro la sentenza del giudice di merito, secondo la quale la responsabilità del sinistro, causato da un grosso cinghiale che aveva repentinamente attraversato la strada, era addebitale alla Regione Toscana e alla Provincia di Grosseto per violazione del precetto del neminem laedere ex art. 2043 c.c..
Secondo i giudici di legittimità, l’art. 1 della legge n. 157/1992 dispone che “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”.
La norma prevede anche che le Regioni a statuto ordinario devono emanare disposizioni relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie selvatiche.
Infine, la S.C. sostiene che “per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria è costituito a cura di ogni Regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti”.
martedì 21 dicembre 2010
Danni estetici, niente risarcimento se la cicatrice non incide sull’attività lavorativa
Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 12 Ottobre 2010 , n. 21012
In tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, qualora provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21012, depositata lo scorso 12 ottobre.
In seguito ad un incidente stradale, la vittima chiedeva il risarcimento del danno estetico, indipendente da quello biologico, in relazione ad una lesione micropermanente, tuttavia, negata dal Tribunale adito trattandosi di una cicatrice di ridottissime dimensioni destinata a divenire meno visibile con il passare del tempo.
In cassazione, il ricorrente sostiene che il giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, limitandosi ad offrire una propria valutazione in ordine all’inesistenza di postumi permanenti di natura invalidante, poiché aveva considerato solo la cicatrice, senza tener conto delle conseguenze derivate dal “colpo di frusta”.
La S.C. rigetta il ricorso: il Tribunale aveva preso in considerazione tutte le conseguenze derivate dall’incidente (limitazione funzionale del rachide e cicatrice alla fronte), valutate dal c.t.u. come postumi permanenti nella misura del 5%, ed ha ritenuto che il danno biologico potesse essere liquidato in via equitativa, senza ricorrere alle tabelle previste per postumi permanenti di maggiore gravità.
In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (“micropermanenti”) che non si traducono in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno da lucro cessante è configurabile solo se sussistano elementi concreti che inducano a ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico.
Infine, relativamente al danno estetico, gli ermellini ribadiscono che “in tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico, (nella specie, valutati complessivamente come danno biologico permanente del 5%), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta “micropermanente” sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare”.
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In tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, qualora provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21012, depositata lo scorso 12 ottobre.
In seguito ad un incidente stradale, la vittima chiedeva il risarcimento del danno estetico, indipendente da quello biologico, in relazione ad una lesione micropermanente, tuttavia, negata dal Tribunale adito trattandosi di una cicatrice di ridottissime dimensioni destinata a divenire meno visibile con il passare del tempo.
In cassazione, il ricorrente sostiene che il giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, limitandosi ad offrire una propria valutazione in ordine all’inesistenza di postumi permanenti di natura invalidante, poiché aveva considerato solo la cicatrice, senza tener conto delle conseguenze derivate dal “colpo di frusta”.
La S.C. rigetta il ricorso: il Tribunale aveva preso in considerazione tutte le conseguenze derivate dall’incidente (limitazione funzionale del rachide e cicatrice alla fronte), valutate dal c.t.u. come postumi permanenti nella misura del 5%, ed ha ritenuto che il danno biologico potesse essere liquidato in via equitativa, senza ricorrere alle tabelle previste per postumi permanenti di maggiore gravità.
In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (“micropermanenti”) che non si traducono in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno da lucro cessante è configurabile solo se sussistano elementi concreti che inducano a ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico.
Infine, relativamente al danno estetico, gli ermellini ribadiscono che “in tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico, (nella specie, valutati complessivamente come danno biologico permanente del 5%), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta “micropermanente” sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare”.
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