mercoledì 12 novembre 2008

Il danno esistenziale esiste? La posizione delle Sezioni Unite

Cassazione civile , S.S.U.U., sentenza 11.11.2008 n° 26972

Negli ultimi anni la figura del danno esistenziale ha scritto importanti momenti, oscillando tra terreni fertili ed aridi, tra favorevoli e contrari, convegni e libri, emozioni e paure.
In particolare, era dubbio cosa si dovesse intendere con la categoria danno esistenziale; altresì, non era chiaro se tale figura, anche laddove esistente, potesse essere cumulata con il danno biologico (inteso come lesione del diritto alla salute, ex art. 32 Cost.) e danno morale (inteso, tradizionalmente, come transitorio turbamento psicologico).
Finalmente, con una presa di posizione decisa, le Sezioni Unite hanno affermato che il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., non può essere suddiviso in diverse poste risarcitorie, ma va considerato essenzialmente come unicum.
La posizione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite affrontano, ex professo, la problematica de qua.
Innanzitutto, l’art. 2059 c.c. va completato con gli elementi strutturali dell’art. 2043 c.c.
Poi, esistono ipotesi codificate di risarcimento del danno non patrimoniale in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 1. n. 117/199), danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, 1. n. 675/1996; impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, d.lgs. n. 286/1998; adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 1. n. 89/2001; mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.
Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 ce, il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art. 2043 ce e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art. 2059 ce, norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria).
Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto[1]).
Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008).
Al di fuori di tali casi, è posssibile ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, ma solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata[2]. Pertanto, non possono essere risarcite tutte le lezioni alla persona ovvero tutti i pregiudizi non patrimoniali, ma soltanto quelli che realizzano un’ingiustizia costituzionalmente qualificata.
Vanno abbandonate le sottocategorie del danno esistenziale[3] e danno morale[4], perché bisogna solo verificare la lesione di diritti inviolabili della persona; inoltre, la lettura che l’interprete deve seguire è quella dell’art. 2059 c.c. con i diritti costituzionali inviolabili, che non vanno intesi come un numerus clausus: la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana[5].
Il c.d. pregiudizio di tipo esistenziale è, quindi, risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.
La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza[6].
Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità[7] ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).
Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.
Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona[8], della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale.
Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni.
Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art. 1174 ce, secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale.
Anche nel danno non patrimoniale può confluire lo schema logico risarcitorio ex art. 1223 c.c., che la conseguenza che anche in questa materia bisognerà tenere presente sia la perdita subita, quanto la mancata utilità[9].
Per quanto riguarda la complicatissima tematica del danno tanatologico[10], inerente all’irrisarcibilità del danno da morte immediata, che ipotizzava un vulnus al sistema risarcitorio (perché si rischiava di lasciar priva di tutela giuridica la vittima dell’illecito sol perché non sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, riducendo notevolmente le possibilità risarcitorie), arrivando alla soluzione paradossale ed incostituzionale per cui si puniva più gravemente la lesione aggravata dalla morte rispetto alla c.d. morte immediata e diretta, la Cassazione afferma che il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.
Riflessioni brevi a caldo
Le Sezioni Unite indicano la strada da seguire, in materia di danni alla persona; vi è, invero, una certa apertura in favore della persona umana e dei sui aspetti dinamico-relazionali, ma si procede ad una nuova sistemazione: si è passati dal danno esistenziale, come categoria, all’ingiustizia costituzionalmente qualificata.
Non vi è, necessariamente, una deminutio di tutela, ma una visione prospettica diversa: non vi è più una categoria, ma una serie di danni relativi a lesioni di diritti inviolabili della persona umana, da verificare e leggere di volta in volta, attraverso una lettura combinata dell’art. 2059 c.c. con la Groundnorm.
Se, diversamente, fosse stata accolta la prospettiva che voleva confermata la categoria del danno esistenziale si sarebbe corso il rischio, secondo la Corte, di portare l’art. 2059 c.c., che è a carattere tipico, nell’atipicità caratterizzante l’art. 2043 c.c.; id est, il danno esistenziale non poteva essere riconosciuto perché non tipico, in contrasto con la lettera dello stesso art. 2059 c.c.
Poiché l’art. 2059 c.c. è tipico, allora, può essere collegato colo con norme (come quelle della Costituzione) e non con la categoria del danno esistenziale, che non presentava i caratteri della tipicità.
La tutela, poi, si è estesa a favore del creditore danneggiato dall’inadempimento, perché potrà fruire anche del risarcimento del danno non patrimoniale, attraverso l’esaltazione dell’art. 1174 [11] c.c. (relativo al c.d. interesse non patrimoniale), senza dover agire in via aquiliana cumulata con l’azione contrattuale, perché bisogna garantire almeno il rimedio risarcitorio nei casi di lesione di diritti inviolabili della persona umana (diversamente, vi sarebbe un vulnus all’art. 24 Cost.); interessante anche l’applicazione dell’art. 1223[12] c.c. al danno non patrimoniale, con la conseguenza che dovrà essere risarcito non solo la perdita, ma anche il mancato guadagno: nell’ipotesi di danno biologico, ad esempio, non si dovrà tenere presente solo la perdita di una parte del corpo, ma anche le mancate utilità derivanti da tale perdita (rinunce forzate a stare con i figli, giocare con loro, oppure stare con la moglie, guidare, ecc.), purchè individuate a livello costituzionale, accogliendo pure tesi estensive, per merito della clausola generale dell’art. 2 Cost.