venerdì 19 febbraio 2010

Il caso Mediaset - Youtube: inibire senza sorvegliare

La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonchè quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.


Il Tribunale di Roma con il provvedimento dello scorso 11 febbraio ha confermato la decisione con la quale, il 23 dicembre scorso, nell'ambito di un procedimento cautelare in corso di causa promosso da RTI, aveva ordinato a Google di rimuovere da YouTube tutti i video del Grande Fratello 10 pubblicati e, soprattutto, di non consentire la pubblicazione di ulteriori video.

La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonché quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.

Il Tribunale di Roma, infatti -nell'ordinanza resa in sede di reclamo- riconosce che su Youtube viene svolta un'attività di web hosting e, dunque, di intermediazione della comunicazione alla quale occorre applicare la disciplina sul commercio elettronico così come ammette che tale disciplina preclude di porre a carico degli intermediari della comunicazione un obbligo generale di sorveglianza.

Ad un tempo, tuttavia, i Giudici hanno ritenuto che inibire all'intermediario di pubblicare, anche in futuro, contenuti analoghi a quelli oggetto del provvedimento di rimozione non violi tale principio.

Si tratta di una conclusione che non convince e che appare "elusiva" rispetto al principio comunitario: non si ordina di sorvegliare ma si obbliga, per il futuro, a non pubblicare -rectius far pubblicare- nella piena consapevolezza che ciò ha per presupposto una sorveglianza preventiva.

Nessuna norma dell'ordinamento italiano, tuttavia, sembra legittimare un'inibitoria di portata tanto ampia da abbracciare la pubblicazione di opere individuate solo nel genere sia nel presente che nel futuro.

Lo stesso art. 156 della legge sul diritto d'autore, posto da RTI a fondamento delle proprie richieste, d'altra parte, nel riconoscere al titolare dei diritti la facoltà di agire anche contro l'intermediario -a prescindere, peraltro dalla responsabilità di quest'ultimo- per ottenere l'inibitoria della prosecuzione di una determinata condotta, stabilisce che tale previsione debba essere contemperata con le disposizioni contenute nella direttiva sul commercio elettronico e, dunque, tra le altre, anche con quella che esclude qualsivoglia obbligo di sorveglianza dell'intermediario.

A ragionare diversamente, altro canto, le decisioni dei giudici in materia di proprietà intellettuale finirebbero -come peraltro accaduto in questo caso- con l'avere una portata generale ed astratta -analoga, nella sostanza a quella della legge- ed a reiterare il semplice contenuto di un precetto normativo: quello secondo il quale è vietata la pubblicazione di altrui contenuti in assenza dell'autorizzazione del titolare dei diritti.

Sarebbe un pò come se -online o offiline- un giudice potesse ordinare ad un determinato soggetto di non violare mai più i diritti d'autore di un certo titolare.

Si tratta, peraltro, di una questione della quale -proprio mentre i Giudici del Tribunale di Roma emettevano la propria decisione- veniva interessata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

La Corte d'Appello di Bruxelles, infatti, con una Sentenza dello scorso 28 gennaio, ha chiesto ai Giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla compatibilità con la disciplina europea in materia di commercio elettronico di una norma nazionale che riconosca al giudice il potere di ordinare ad un intermediario della comunicazione di installare dei filtri preordinati a precludere lo scambio -da parte dei propri utenti- attraverso le piattaforme di P2P di materiale coperto dal diritto d'autore.

La Sentenza belga è stata pronunciata nell'ambito dell'ormai famosa controversia insorta nel lontano 2004, che vede contrapposte la SABAM -la corrispondente belga della nostra SIAE- e la Scarlett, un internet service provider.

Sebbene con i distinguo del caso le due controversie hanno forti momenti di contatto: in entrambi i titolari dei diritti d'autore hanno chiesto ed ottenuto -almeno in fase cautelare- che venisse ordinato agli intermediari della comunicazione di inibire la prosecuzione di una condotta posta in essere dai propri utenti nel presente come nel futuro.

Tornando in Italia, invece, a questo punto, non resta che stare a guardare quali saranno le determinazioni dello stesso Tribunale di Roma in relazione alle modalità con le quali Google dovrà ottemperare all'ordine di inibitoria. Come già accaduto in Belgio nella richiamata controversia Sabam c. Scarlet, infatti, tale decisione è, probabilmente, più importante di quella di merito.

Si tratta, infatti, di accertare chi debba pagare la tecnologia e le risorse necessarie a inibire la futura pubblicazione da parte degli utenti di ulteriori contenuti, quale percentuale di fallibilità della tecnologia da adottarsi sia ritenuta "scusabile" e, soprattutto, quali siano i contenuti di cui Google dovrà inibire la pubblicazione su Youtube.

Sembra difficile sostenere -sebbene questa sia la posizione di una delle parti- che i costi dell'attività di prevenzione della pirateria audiovisiva sulla piattaforma o attraverso le infrastrutture di un intermediario possano essere poste carico di quest'ultimo perché sarebbe come ritenere che le fabbriche di armi siano tenute ad installare a proprie spese metal detector un pò ovunque per scongiurare il rischio che i loro prodotti siano utilizzati per scopi illeciti o, piuttosto, che la società autostrade sia tenuta a vigilare, a proprie spese, sull'eventuale utilizzo delle autostrade medesime per contrabbando o altre attività illecite.