tag:blogger.com,1999:blog-61578882509649195222024-02-20T07:31:33.547-08:00Studio Legale La Pianawww.studiolegalelapiana.itStudio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comBlogger36125tag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-79711668651562318022012-11-27T09:42:00.004-08:002012-11-27T09:42:50.189-08:00Vizi della cosa venduta ed assunzione dell'obbligo della riparazione<strong>SENTENZA N. 19702 DEL 13 NOVEMBRE 2012</strong><br />
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Le Sezioni unite hanno stabilito, nell’interpretare l’art. 1495 cod. civ., che l’impegno del venditore all’ eliminazione dei vizi della cosa, accettato dal compratore, comporta il sorgere del corrispondente diritto, soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto rimangono soggetti alla prescrizione annuale, dalla norma specificamente prevista. Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-24979847525830255642012-06-01T00:40:00.000-07:002012-06-01T00:40:59.876-07:00Danno da vacanza rovinata e la prova dell'inadempimento<b>Cassazione civile , sez. III, sentenza 11.05.2012 n° 7256 </b><br />
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Nel caso di vacanza rovinata il danno non patrimoniale è risarcibile grazie alla raggiunta prova dell’inadempimento contrattuale che esaurisce in sé la prova del verificarsi del danno. <br />
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In tema di danno non patrimoniale "da vacanza rovinata", inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della "finalità turistica" (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.<br />
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E' questo il principio di diritto in tema di danno da vacanza rovinata, individuato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7256.<br />
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Nel caso in questione, due coniugi convenivano in giudizio la società organizzatrice il loro viaggio di nozze ed il Tour operator a cui si erano rivolti, chiedendo la condanna in solido dei danni subiti per servizi non goduti e per le somme spese durante il viaggio stesso, comprendendo anche il danno non patrimoniale da vacanza rovinata. <br />
Il Giudice di Pace condannava il Tour operator al pagamento della somma di € 738 e le spese processuali. Il condannato proponeva ricorso principale, mentre i due coniugi proponevano a loro volta appello incidentale: questa volta il Tribunale, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, condannava in solido l’organizzatrice e il Tour operator al pagamento della somma di € 697 oltre accessori.<br />
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In sede di ricorso cassazione gli aspetti che qui interessano investono anche una ulteriore questione centrale: se, nell'ipotesi di inadempimento o inesatta esecuzione del contratto rientrante nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i “pacchetti turistici” il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, in senso stretto, quale pregiudizio conseguente alla lesione dell'interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, e quindi, quando non vengano in rilievo lesioni all'integrità psicofisica tutelate dall'art. 32 Cost., sia risarcibile, ex art. 2059 cod. civ., che, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, stante il carattere tipico della tutela di interessi non connotati da rilevanza economica, necessita di una fonte normativa ordinaria espressa, o del fondamento costituzionale, in riferimento ai diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost., 4, 13, 29, 30), e al diritto alla salute (art. 32 Cost.), o di una fonte comunitaria, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno.<br />
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Gli Ermellini offrono una risposta positiva alla questione facendo riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed alla dottrina prevalente.<br />
In particolare, si ritiene che le espressioni generiche contenute nel d.lgs. n. 111 del 1995 siano comprensive anche del danno non patrimoniale. D’altra parte, in una visione di insieme che faccia riferimento anche al recente c.d. Codice del Turismo – anche se non applicabile nel caso in questione ratione temporis – non può dimenticarsi che si prevede espressamente all’art. 47 il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In particolare, si prevede che, qualora l'inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta”.<br />
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Altra questione collegata è se nel caso di inesatta esecuzione del contratto, la lesione dell'interesse alla vacanza contrattualmente pattuita, che trova riconoscimento nella disciplina normativa del pacchetto turistico, posta a tutela del consumatore, debba o meno avere il carattere della gravità, nel senso che l'offesa di tale interesse, per essere risarcibile, debba superare una soglia minima di tollerabilità.<br />
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I giudici del Palazzaccio, anche se, a stretto rigore normativo, non possono far altro che evidenziare l’insussistenza di limiti normativi ed ermeneutici, tuttavia ritengono che limiti discendano – anche s e con caratterizzazione diversa – dall’art. 2 della Costituzione. Infatti – si legge nella sentenza -, in riferimento ai diritti inviolabili della persona, la necessità della gravità della lesione dell'interesse, che per essere risarcibile deve superare una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nel dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., che impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza e, quindi, in riferimento al rapporto tra singolo individuo e singoli, ma indifferenziati, individui componenti la società civile. Per quanto riguarda il diritto alla vacanza contrattualmente pattuita, la necessità della gravità della lesione dell'interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nella sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che accompagna il contratto in ogni sua fase; regola specificativa - nel contesto del rapporto obbligatorio tra soggetti determinati - degli inderogabili doveri di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., e la cui violazione può essere indice rivelatore dell'abuso del diritto, nella elaborazione teorica e giurisprudenziale.<br />
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La richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali – chiosano i giudici di Piazza Cavour - per disagi e fastidi da qualificarsi minimi, avuto presente la causa in concreto del contratto, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi contrattualmente pattuiti, e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore/creditore.<br />
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In mancanza di delimitazioni normative, spetta al giudice del merito individuare il superamento o meno di tale soglia, avuto riguardo alla causa in concreto - costituita dalla “finalità turistica”, che qualifica il contratto “determinando l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero emergente dal complessivo assetto contrattuale, e considerando l'autonoma valutabilità dell'interesse allo svago e riposo rispetto al danno patrimoniale subito, atteso che il primo, a seconda del peso della prestazione contrattuale non adempiuta, può ben superare il secondo e non può appiattirsi su questo.<br />
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Nella specie, il giudizio sul superamento della soglia minima di lesione è implicito nella sentenza di merito, in considerazione della irripetibilità della vicenda trattata riferendosi ad un viaggio di nozze. <br />
Da ciò il rigetto dei ricorsi e la compensazione della spese.<br />
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<br />Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-31156086690562152472012-05-10T03:46:00.004-07:002012-05-10T03:46:59.677-07:00Rc auto, vizi di contenuto della richiesta risarcitoria: quali conseguenze? Corte Costituzionale , sentenza 03.05.2012 n° 111In tema di risarcimento danni da circolazione stradale, come noto, l’art. 145 Cod. Ass. Priv. subordina la proponibilità della domanda giudiziaria di risarcimento del danno alla persona, riportato in conseguenza di sinistro stradale, al decorso del c.d. spatium deliberandi di 90 giorni a partire dal momento in cui il danneggiato abbia presentato all’impresa di assicurazione un’istanza di risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, “avendo osservato le modalità e i contenuti previsti dall’articolo 148”.
L’art. 148, in particolare, prevede che la richiesta di risarcimento
1) deve contenere:
l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento;
la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro;
2) deve essere accompagnata:
dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite;
da attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti;
dalla dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del decreto legislativo n. 209 del 2005, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima.
Una richiesta risarcitoria che non risponda a tutti i requisiti formali di indicazione, descrizione e allegazione richiesti dall’art. 148, presenta un vizio di contenuto di per sé idoneo ad impedire il decorso dello spatium deliberandi previsto dall’art. 145 e determina, pertanto, l’improponibilità dell’azione risarcitoria e della domanda giudiziale.
Lo ha confermato la Corte Costituzionale nella sentenza 3 maggio 2012, n. 111 in cui la Consulta ha inteso precisare che l’istituto dell’improponibilità della domanda così inteso, rigorosamente risultante dal combinato disposto degli artt. 145 co. 1 e 148 co. 2 C.d.S., è pienamente conforme al dettato della Costituzione e della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Secondo i Giudici, l’onere di conformazione della richiesta risarcitoria non menoma in alcun modo, né sul piano sostanziale né sul piano processuale, la tutela del danneggiato, ma al contrario, ponendosi in rapporto funzionale con l’obbligo – posto dalla medesima normativa a carico dell’assicuratore – di formulare una congrua offerta risarcitoria in tempi prestabiliti – ha la funzione di rafforzare le possibilità di difesa offerte al danneggiato.
L’onere di diligenza preteso dal danneggiato, in altri termini, si raccorda coerentemente con l’obbligo di cooperazione imposto all’assicuratore.
La Corte Costituzionale, per altro verso, evidenzia come la previsione normativa in esame – in ogni caso – non produce alcuna restrizione di tutela sul piano sostanziale, essendo destinata ad esaurire completamente i suoi effetti sul piano processuale. La declaratoria di improponibilità dell’azione ex artt. 145 e 148 Cod. Ass. Priv., infatti, non preclude al danneggiato la possibilità di riproporre la domanda risarcitoria, nel rispetto delle predette disposizioni ed entro i termini di prescrizione del diritto, curando di sottolineare che, trattandosi di pronuncia di rito, la domanda dichiarata improponibile interrompe i termini di prescrizione, che però iniziano subito a decorrere nuovamente, senza che possa realizzarsi l’effetto “interruttivo/sospensivo” previsto dall’art. 2945 co. 2 c.c.
I principi giuridici autorevolmente espressi in Corte Costituzionale 3 maggio 2012, n. 111 sono destinati ad incidere sensibilmente sugli orientamenti della giurisprudenza di merito, in special modo dei giudici di pace, quotidianamente chiamata a decidere sulle eccezioni di improponibilità sollevate dalle compagnie di assicurazione e, molto spesso, propensi a fare propria un’interpretazione piuttosto elastica e non formalistica dei precetti normativi in esame.
In questa prospettiva, non va sottovalutato che la Consulta, nella fattispecie, ha deciso la questione di legittimità con una “semplice” sentenza di rigetto, non ricorrendo allo strumento della sentenza interpretativa.
I Giudici costituzionali, in parole povere, hanno ritenuto:
a) che l’art. 145 co. 1 Cod. Ass. Priv., letto in combinato disposto con il successivo art. 148 co. 2, debba essere interpretato secondo il significato letterale delle norme, nel senso che la violazione dell’onere di conformazione della richiesta risarcitoria a tutti i requisiti formali richiesti comporta l’improponibilità della domanda giudiziale;
b) che la disposizione, così rigorosamente interpretata, non contrasta con principi di rango costituzionale.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-1311062170225963992011-04-21T01:14:00.000-07:002011-04-21T01:16:07.586-07:00E’ vessatoria la clausola che vieta l’utilizzo della tessera SKY al di fuori della propria abitazione.Uso della carta Sky fuori casa: eccessivo l'ammontare della penale prevista<br /><strong>Tribunale Sulmona, sentenza 25.02.2011 n° 110</strong> <br /><br />E’ vessatoria la clausola che vieta l’utilizzo della tessera SKY al di fuori della propria abitazione.<br /><br />Così ha precisato il Tribunale di Sulmona, a firma della dr.ssa Ciotti, nella sentenza 25 febbraio 2011, che ha annullato una penale da circa 7000,00 euro per l’uso della card sky fuori casa.<br /><br />Il giudice del merito, oltre all’annullamento della clausola ritenuta vessatoria, ha fatto di più, entrando nel merito della questione e “ricostruendo” analiticamente la vicenda.<br /><br />Un associato aveva portato la tessera Sky dalla propria abitazione nel locale della madre al fine di guardare la partita con alcuni amici.<br /><br />Tale comportamento è stato giudicato “non corretto” da Sky che provvedeva, chiamando in giudizio il soggetto, alla richiesta del pagamento della penale di quasi euro 7000,00, per “presunta violazione” dell’articolo 5 del contratto stipulato in quanto “avrebbe utilizzato abusivamente il proprio abbonamento residenziale”<br /><br />Il Giudice del tribunale di Sulmona occupandosi del modus operandi degli ispettori Sky ha sollevato dubbi circa la veridicità dei fatti affermati con la conseguente invalidità dei verbali redatti e non controfirmati dai “presunti trasgressori”. <br /><br />Nella decisione che qui si commenta il giudice ha, quindi, messo in evidenza che la clausola in questione non era stata oggetto di trattativa con il consumatore.<br /><br />Tale requisito è richiesto a pena di nullità dal codice del consumo, visto l’eccessivo ammontare della somma richiesta a titolo di penale.<br /><br />Nelle controversie tra consumatore e professionista, infatti, oltre alla disciplina generale in tema di condizioni generali del contratto ex art. 1341 c.c., trova applicazione anche la disciplina di tutela del consumatore dettata dal decreto legislativo n. 206/2005, c.d. codice del consumo.<br /><br />La Direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, n. 93113, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 52/1996, ha introdotto nel codice civile una nuova disciplina volta a stabilire che le clausole contrattuali devono essere redatte in maniera chiara e comprensibile in quanto, in caso di dubbio, il contratto dovrà essere interpretato nel senso più favorevole al consumatore.<br /><br />Le clausole vessatorie, quindi, devono essere considerate inefficaci a meno che il professionista non dimostri che esse sono frutto della trattativa contrattuale con il cliente; questo, nella vicenda oggetto di commento non è accaduto....Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-92036523369938046442011-03-30T02:08:00.000-07:002011-03-30T02:10:45.849-07:00Overbooking, il tour operator risponde dei danni<strong>Trib. di Bergano, 28 settembre 2010, n. 1999</strong><br /><br />Per la corte lombarda è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking. <br /><br />L'art. 93, ult. comma, cod. consumo prevede che "l 'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti". <br /><br />Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, l'organizzatore o venditore di un pacchetto turistico -secondo quanto stabilito nell'art. 14, D.Lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva comunitaria e applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del Consumo)- è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (come il vettore), salvo il diritto a rivalersi nei confronti di questi ultimi (cfr.: Cass., 13 novembre 2009, n. 24044). <br /><br />Nel caso di specie, posto che non vi è prova in ordine all'inadempimento diretto del tour operator convenuto ed in particolare del fatto che lo stesso già sapesse da giorni del blocco dei voli della compagnia di bandiera, risultando piuttosto che lo stesso lo apprese soltanto il giorno prima, in presenza dell'inadempimento del vettore, si tratta di stabilire, alla luce delle circostanze del caso di specie, quali danni abbiano in concreto subito gli attori a causa della cancellazione del volo di ritorno. <br /><br />La compagnia aerea inadempiente provvide a riproteggere i passeggeri dei voli cancellati, senza costi aggiuntivi, ma gli attori per ottenere la riprotezione, poterono viaggiare soltanto in classe business anziché in economy, corrispondendo una cifra aggiuntiva ciascuno al funzionario della compagnia aerea. <br /><br />A titolo di danno patrimoniale è stato riconosciuto a ciascuno degli attori il rimborso di questo importo. <br /><br />Per quanto attiene al danno non patrimoniale, in ragione degli elementi di fatto acquisiti, è agevole presumere che, in ragione delle modalità del rientro, che ha visto frazionarsi il percorso in più voli ed aumentare i tempi di attesa rispetto al previsto, la vicenda in oggetto abbia cagionato agli attori dei disagi, in termini di sofferenza psicologica dovuta alla percezione della situazione di incertezza del rientro da un Paese straniero ed alla necessità di aspettare le sorti dell'overbooking. <br /><br />Tale danno va liquidato equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-60559104964862901422010-12-29T07:37:00.000-08:002010-12-29T07:46:43.652-08:00Danni causati dall'attraversamento della strada di un animale selvatico? La Regione è responsabile<strong>Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 16 Novembre 2010 , n. 23095</strong><br /><br />Le Regioni devono predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose. Non solo. Nell’ipotesi di danno provocato da fauna selvatica e il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, l’ente territoriale può essere chiamato a rispondere ex art. 2043 c.c. <br /> <br /><br />A ribadirlo è la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 23095 depositata il 16 novembre 2010 - ha respinto il ricorso della Regione contro la sentenza del giudice di merito, secondo la quale la responsabilità del sinistro, causato da un grosso cinghiale che aveva repentinamente attraversato la strada, era addebitale alla Regione Toscana e alla Provincia di Grosseto per violazione del precetto del neminem laedere ex art. 2043 c.c..<br />Secondo i giudici di legittimità, l’art. 1 della legge n. 157/1992 dispone che “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”. <br /><br />La norma prevede anche che le Regioni a statuto ordinario devono emanare disposizioni relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie selvatiche. <br /><br />Infine, la S.C. sostiene che “per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria è costituito a cura di ogni Regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti”.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-52643166987697064592010-12-21T22:41:00.000-08:002010-12-21T22:43:43.049-08:00Danni estetici, niente risarcimento se la cicatrice non incide sull’attività lavorativaCorte di Cassazione, sez. III, Sentenza 12 Ottobre 2010 , n. 21012<br /><br /><br />In tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, qualora provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21012, depositata lo scorso 12 ottobre.<br /><br /> <br /><br />In seguito ad un incidente stradale, la vittima chiedeva il risarcimento del danno estetico, indipendente da quello biologico, in relazione ad una lesione micropermanente, tuttavia, negata dal Tribunale adito trattandosi di una cicatrice di ridottissime dimensioni destinata a divenire meno visibile con il passare del tempo.<br /><br />In cassazione, il ricorrente sostiene che il giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, limitandosi ad offrire una propria valutazione in ordine all’inesistenza di postumi permanenti di natura invalidante, poiché aveva considerato solo la cicatrice, senza tener conto delle conseguenze derivate dal “colpo di frusta”.<br /><br />La S.C. rigetta il ricorso: il Tribunale aveva preso in considerazione tutte le conseguenze derivate dall’incidente (limitazione funzionale del rachide e cicatrice alla fronte), valutate dal c.t.u. come postumi permanenti nella misura del 5%, ed ha ritenuto che il danno biologico potesse essere liquidato in via equitativa, senza ricorrere alle tabelle previste per postumi permanenti di maggiore gravità.<br /><br />In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (“micropermanenti”) che non si traducono in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno da lucro cessante è configurabile solo se sussistano elementi concreti che inducano a ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico.<br /><br />Infine, relativamente al danno estetico, gli ermellini ribadiscono che “in tema di risarcimento del danno alla persona, i postumi di carattere estetico, (nella specie, valutati complessivamente come danno biologico permanente del 5%), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta “micropermanente” sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta, ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare”.<br /><br /><a href="http://www.scenari.giuffre.it/psixsite/CIVILE/Il%20danno%20non%20patrimoniale/10Cas21012_doc_psix/10Cas21012.pdf">SCARICA LA SENTENZA</a>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-47079706785550148852010-11-05T08:28:00.000-07:002010-11-05T08:30:46.341-07:00Moglie e figlie non coinvolte nel sinistro stradale sono persone danneggiate<em><strong>Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 28 Settembre 2010 , n. 20350</strong></em><br /><br />In caso di sinistro stradale, oltre alla vittima, vanno considerate come persone danneggiate anche per i familiari più stretti che abbiano subito direttamente un danno, patrimoniale o non, dalla morte del congiunto<br /><br /> <br /><br />Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 20350, depositata il 28 settembre 2010 – ha accolto dalla S.C. il ricorso proposto da moglie e figlie della vittime di un incidente stradale in materia di risarcimento danni.<br /><br />Al riguardo, i giudici di legittimità ricordano che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e di natanti, relativamente ad un fatto antecedente al 1° maggio 1993, per persona danneggiata, ai sensi dell’art. 21 della l. n. 990/1969, devono intendersi non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell’ambito del massimale previsto per ogni singola persona. Il limite del risarcimento è invece, distintamente per ciascun danno, quello previsto per ogni persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (c.d. massimale catastrofale).<br /><br />Nella fattispecie in esame, osserva il Collegio, il limite del risarcimento non è pertanto quello previsto per una sola persona danneggiata, ma è, distintamente per ognuna di esse, quello previsto per ciascun danneggiato e conseguentemente quello catastrofale.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-8647353432786047552010-10-19T23:19:00.000-07:002010-10-19T23:22:22.224-07:00Sinistro stradale, danno da perdita di chance, onere della prova<div align="justify">Cassazione civile , sez. III, sentenza 28.09.2010 n° 20351<br /><br />Qualora a seguito di un sinistro stradale, il danneggiato lamenti e richieda la liquidazione del danno da perdita di chance, ovvero da perdita della futura capacità di guadagno, deve al tal fine fornire la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.<br /><br /><br /> SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE<br /><br /> SEZIONE III CIVILE <br /><br /> Sentenza 07 luglio - 28 settembre 2010, n. 20351<br /><br /> (Presidente Varrone - Relatore D’Amico)<br /><br /> Svolgimento del processo<br /><br />G. D. P. e M. L., in qualità di legali rappresentanti del figlio minore A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, A. M. e la compagnia di assicurazioni Phenix-Soleil s.p.a., ora Gan Italia s.p.a., per sentir dichiarare l’esclusiva responsabilità del medesimo convenuto in ordine all’incidente stradale nel quale il minore era stato investito dall’auto del M..<br /><br />Si costituiva la compagnia assicuratrice contestando la domanda dei D. P. mentre veniva dichiarata la contumacia di A. M. che si costituiva poi con domanda riconvenzionale.<br /><br />Il Tribunale dichiarava che il sinistro era avvenuto per colpa dell’attore nella misura del 70% e del convenuto nella misura del 30% e condannava quindi la Phenix Soleil al risarcimento dei danni in favore dell’attore; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannava G. D. P. e M. L. al risarcimento dei danni in favore di A. M..<br /><br />Proponeva appello A. D. P. chiedendo che la responsabilità del sinistro del quale era rimasto vittima venisse imputata esclusivamente ad A. M. e che la Phenix Soleil fosse condannata a pagargli l’ulteriore somma di L. 136.819.459.<br /><br />Si costituivano gli appellati chiedendo che il D. P. fosse dichiarato unico responsabile del sinistro e tenuto a restituire la somma di L. 21.363.000 oltre accessori, corrisposta dalla compagnia assicuratrice in esecuzione della sentenza di primo grado e, in accoglimento della domanda riconvenzionale del M., fosse condannato all’integrale risarcimento.<br /><br />La Corte d’Appello di Bologna confermava l’attribuzione della responsabilità alle parti come determinata dal Tribunale; respingeva perché domanda nuova inammissibile in secondo grado quella dell’appellante volta ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente in quanto non specificamente richiesta in primo grado; escludeva la riduzione del 10% a titolo di scarto fra vita fisica e vita lavorativa; dichiarava inammissibile la riconvenzionale del M.; confermava la statuizione di primo grado nella valutazione del sinistro e nell’esclusione del danno morale.<br /><br />Proponeva ricorso per Cassazione il D. P..<br /><br />Questa Corte riconosceva a costui il danno morale e il danno patrimoniale e rinviava gli atti alla Corte d’Appello di Bologna.<br /><br />D. P. riassumeva il processo nei confronti della Gan Italia s.p.a. (già Phenix Soleil s.p.a.) e di A. M.. Si costituiva soltanto la compagnia assicuratrice.<br /><br />La Corte distrettuale, pronunciando in sede di rinvio dalla Suprema Corte (sentenza n. 3625/97) sull’appello proposto da A. D. P. avverso la sentenza del 9.3.1990 n. 349 del Tribunale di Modena, condannava la Gan Italia s.p.a. a rifondere all’appellante la metà delle ulteriori spese processuali.<br /><br />Proponeva ricorso per cassazione A. D. P. formulando due mezzi d’impugnazione.<br /><br /> Motivi della decisione<br /><br />Con i due mezzi di impugnazione, da esaminare congiuntamente attesane l’intrinseca connessione, parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo e controverso del risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e di prova dello stesso nel caso di grave menomazione psico-fisica riportata da un minore in età della scuola dell’obbligo e, quindi, prelavorativa (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.)»; 2) «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 primo comma, n. 1 c.p.c.)».<br /><br />Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza sia perché ha negato la perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno; sia perché ha fatto propria la c.t.u., ritenuta insoddisfacente; sia perché ha negato che lo stesso A. D. P. sia rimasto pregiudicato nelle sue chances future. Per altro verso critica la suddetta sentenza per aver violato il diritto alla tutela della salute della vittima e al risarcimento dei danni.<br /><br />Entrambi i motivi sono infondati.<br /><br />Ha infatti accertato l’impugnata sentenza, sulla scorta della C.t.u., che la vittima ha iniziato la propria attività lavorativa all’età di sedici anni; che è attualmente idonea al lavoro; che esercita un’attività lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilità manuale; che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacità lavorativa attuale; che non ha subito o subirà una perdita della sua futura, specifica capacità di guadagno.<br /><br />Tali rilievi, attinenti al merito della decisione, sono insuscettibili di critica in sede di legittimità, in presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.<br /><br />Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non è stata riconosciuta perché non è stata fornita la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).<br /><br />In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarità della fattispecie e delle vicende processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione.<br /><br /> P.Q.M.<br /><br /><br />La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione.<br /><br /><br /></div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-47630447143066074952010-10-01T07:51:00.000-07:002010-10-01T07:52:02.650-07:00Cartelle esattoriali inviate per posta: le nuove sentenzeCommissione Tributaria Regionale Lombardia-Milano, sez. XXII, sentenza 15.04.2010 <br /><br />Nuovo stop da parte dei giudici tributari alle cartelle esattoriali spedite per posta e senza l’intermediazione di un agente notificatore.<br /><br />Ciò è quanto emerge da alcune recenti sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce e della Commissione Tributaria Regionale di Milano (Sent. CTP di Lecce n. 436/02/10 e Sent. CTR di Milano n. 61/22/10), secondo le quali risulta addirittura “inesistente” la notifica della cartella inviata a mezzo posta direttamente dai dipendenti di Equitalia e senza l’ausilio dei soggetti puntualmente individuati dalla legge (art. 26, comma 1, DPR n. 602/73), ossia:<br /><br />gli Ufficiali della riscossione; <br />gli Agenti della Polizia Municipale; <br />i Messi Comunali, previa convenzione tra Comune e Concessionario; <br />altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge.<br />D’altronde, secondo i giudici della Commissione Tributaria Regionale di Milano “Lo scopo della notifica dell’atto ha natura sostanziale e non processuale e viene raggiunto solo con la materiale e regolare notifica dell’atto nel domicilio fiscale o reale del contribuente…”<br /><br />Viene ritenuta, dunque, sempre fondamentale la compilazione della relata di notifica da parte dell’agente notificatore, anche in caso di notifica a mezzo posta.<br /><br />Proprio in merito a ciò, i Giudici di Milano chiariscono che “La relata di notifica è prevista come momento fondamentale nell’ambito del procedimento di notificazione … e non è integralmente surrogabile dall’attività dell’ufficiale postale, sicchè la sua mancanza … non può essere ritenuta una mera irregolarità”. <br /><br />Infatti, continuano i Giudici “La mancata compilazione della relata determina … non la semplice nullità della notifica, bensì la giuridica inesistenza della stessa, patologia non sanabile in senso assoluto”.<br /><br />La Commissione, infine, conclude rifiutando l’ipotesi del Concessionario di sanatoria dell’atto per raggiungimento dello scopo (un po’ come dire, anche se la cartella è stata inviata illegittimamente alla fine tutto si è sanato), in quanto si chiarisce che ciò non vale per gli atti giuridicamente inesistenti - come in questo caso - ma al massimo per quelli nulli.<br /><br />Alla luce di quanto illustrato, dunque, appare irrinunciabile per Equitalia il rispetto della seguente procedura per poter effettuare la notifica delle cartelle a mezzo posta:<br /><br />A) l’Ufficiale della riscossione (o gli altri soggetti previsti dall’art. 26, comma 1, del DPR n. 602/73) riceve la cartella da Equitalia e compila la relata di notifica, indicando l’ufficio postale da cui parte l’atto e apponendo la propria firma;<br /><br />B) l’Agente postale consegna la cartella ai legittimi destinatari (ossia ai soggetti indicati dall’art. 26, comma 2, DPR n. 602/73). <br /><br />A sostegno di tale procedura è intervenuta recentemente anche la sezione V° della Commissione Tributaria Regionale di Milano (sent. n. 141 del 17/12/2009), la quale ha sostenuto che “laddove la legge (riferendosi esplicitamente all’art. 26 del DPR n. 602/73) parla di NOTIFICAZIONE di un atto, anche a mezzo posta, la legge stessa intende riferirsi ad una trasmissione dell’atto effettuata non direttamente, MA TRAMITE L’INTERMEDIAZIONE DI UN SOGGETTO ALL’UOPO SPECIFICAMENTE ABILITATO, che assume valore essenziale ai fini del riscontro o meno della fattispecie notificatoria, comportante l’essenzialità della relata di notificazione … Per contro, quando la legge abbia consentito che la trasmissione per posta avvenga senza il tramite di un soggetto abilitato, ha specificamente parlato di invio per posta dell’atto, direttamente fatto dall’autore dello stesso al suo destinatario, nel qual caso non vi è luogo a relata di notifica, come espressamente previsto dall’art. 16, comma 3 del D.lgs. n. 546/92 e dall’art. 14, parte prima, della legge n. 890/1982”.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-74944800834327192732010-09-01T10:05:00.000-07:002010-09-01T10:15:32.958-07:00Illegittime le bollette dell'acqua retroattiveLa possibilità dell’Autorità d’ambito di intervenire sulla tariffa in caso di scostamenti dal piano finanziario e gestionale (art. 8, comma secondo, del d.m. 01/08/1996) impone tempestività nei relativi accertamenti, ma non introduce deroga quanto al principio di irretroattività della prestazione imposta.<br />Infatti, la delibera che approva il regime tariffario ha natura di atto amministrativo generale ed è destinata ad applicarsi per tutto il periodo di vigenza e fino a revoca in base a "contrarius actus".<br />Da ciò deriva l'applicabilità del principio di irretroattività delle tariffe per il servizio idrico e l'illegittimità delle relative fatture che contengano dei conguagli per il pregresso.<br />Scarica la Sentenza del Consiglio di Stato<br /><a href="http://www.acquabenecomune.org/IMG/pdf/Illeggittimita_tariffe_retrottive.pdf">Consiglio di Stato n. 4301/08</a>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-45760935699453345862010-04-18T09:22:00.000-07:002010-04-18T09:26:32.226-07:00CONTRATTI – TUTELA DEL CONSUMATORECassazione Terza Sezione Civile<br />Ordinanza n. 6802 del 20 marzo 2010<br /><br /><br />CONTRATTI – TUTELA DEL CONSUMATORE – DEROGA DELLA COMPETENZA TERRITORIALE – ONERI PROBATORI A CARICO DEL PROFESSIONISTA<br /><br />In tema di tutela del consumatore, per escludere l’applicabilità della relativa disciplina recata dagli artt. 33 e ss. del d.lgs. n. 206 del 2005, specificamente invocata dal consumatore per radicare la competenza territoriale nel foro suo proprio, il professionista deve provare che la clausola contrattuale derogatoria di detto foro (art. 33, comma 2, lett. u) è stata oggetto di puntuale trattativa, ovvero deve fornire prova idonea a vincere la presunzione di vessatorietà della clausola medesima.<br /><br /><br /><a href="http://www.cortedicassazione.it/Documenti/6802_03_10.pdf">SCARICA L'ORIGINALE DELL'ORDINANZA</a>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-79227466203009279912010-03-23T06:54:00.000-07:002010-03-23T06:55:55.699-07:00CONTRATTI – DEL CONSUMATORE - VESSATORIETA' DELLE CLAUSOLE<div align="justify">CORTE DI CASSAZIONE SS.UU.<br />SENTENZA N. 6481 DEL 17 MARZO 2010<br /><br />Pronunciandosi in una fattispecie relativa a contratto avente per oggetto un corso professionale, la S.C., interpretando unitariamente il criterio generale e le fattispecie tipizzate di cui all’art. 1469 bis c.p.c. (nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 206 del 2005,), ha ritenuto abusiva la clausola con la quale il consumatore rinuncia alla facoltà di recesso e si assume l'obbligo di corrispondere comunque l'intero importo pattuito ed, inoltre, ha ritenuto applicabile il terzo comma, n. 11 dello stesso articolo alla clausola con la quale il professionista si riserva il potere unilaterale di modificare le modalità di svolgimento del corso. </div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-45262508339575816502010-03-05T08:01:00.000-08:002010-03-05T08:03:42.979-08:00Debiti per tasse e tributi? Niente ipoteca se il debito non supera gli 8.000 euroCassazione civile , SS.UU., sentenza 22.02.2010 n° 4077<br /><br />Con la sentenza n. 4077/2010 qui in commento, la Suprema Corte specifica che l’ipoteca immobiliare, quale garanzia reale al soddisfacimento del creditore, è atto prodromico alla promozione di esecuzione immobiliare e, pertanto, soggetta agli stessi limiti di valore previsti per l’instaurazione di detta procedura, cioè euro 8.000,00.<br /><br />Questa interpretazione si pone in contrasto con la tesi dell’ente creditore che riteneva l’iscrizione legittima in forza dell’interpretazione letterale degli articoli 76 e 77 drp 602/73 prevedono un importo limite per l’instaurazione di esecuzione immobiliare e non per l’iscrizione di ipoteca. <br /><br /><br />La Corte boccia questa tesi affermando che, così come non è consentito agire in via coattiva tramite espropriazione immobiliare per la tutela di crediti per importi inferiori agli euro 8.000,00, allo stesso modo, non è legittimo iscrivere ipoteca su beni immobili laddove l’importo iscritto nel ruolo di riscossione sia inferiore al medesimo importo e ciò perché l’ipoteca è di atto funzionale e strumentale alla tutela del credito da realizzarsi, appunto, in via espropriativa.<br /><br /><br />La Corte si dimostra, così, in disaccordo con prospettazione della questione offerta dai giudici di merito (Tribunale di Nola, sez. I, sentenza n. 408 del 17/03/2008; Tribunale di Bologna sentenza n. 1015/07 del 02 maggio 2007; Tribunale di Napoli, sez. dist. Casoria, sentenza n. 149/2006; Tribunale di Napoli, sez. X, sentenza n. 12785/2006) secondo cui l’iscrizione ipotecaria godrebbe di autonomina ed indipendenza rispetto al procedimento esecutivo., nonchè dal legislatore che, nel riformare l'articolo 19 del D.Lgs. 546/1992, riconducendo alla competenza delle Commissioni tributarie le impugnazioni delle ipoteche di cui all'articolo 77, DPR 602/73, oltre che dei fermi dei beni mobili registrati di cui all'articolo 86, DPR 602/73, ha escluso la natura esecutiva degli stessi.<br /><br /><br />Diversamente le Sezioni Unite ritengono che l’ipoteca, quale peso imposto al bene con finalità i garantire il creditore, svolge la funzione sua propria in sede di giudizio di esecuzione, garantendo al creditore c.d. “iscritto” il soddisfacimento in via preferenziale sul ricavato della vendita.<br /><br />questo collegamento funzionale tra ipoteca e procedura espropriativa, dunque, autorizza ad estendere all’ipoteca la disciplina prevista per l’esecuzione, in virtù di un’interpretazione logica della medesima. <br /><br /><br />Quindi, che fine fa l’ipoteca eventualmente iscritta per importi inferiori?<br /><br />La Cassazione nulla dice in proposito, né precisa chi ed in quanto tempo debba procedere alla cancellazione, né chi deve accollarsi i costi di dette operazioni né, tanto meno,quali siano gli effetti dell’eventuale pignoramento immobiliare avente ad oggetto un bene su cui sia stata impropriamente iscritta ipoteca.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-84191198899106767282010-03-01T22:55:00.000-08:002010-03-01T22:58:16.786-08:00Infortunio conseguente a sinistro stradale. Diritto del datore di lavoro al risarcimento del danno per gli esborsi effettuati<div align="justify"><strong>Sentenza n. 2844 del 9 febbraio 2010<br /></strong><br /><br />Il datore di lavoro, che abbia retribuito il lavoratore nel periodo di mancata prestazione lavorativa per inabilità temporanea a causa di infortunio cagionato da un terzo, ha diritto ad essere risarcito da quest’ultimo per gli esborsi effettuati (compresi quelli concernenti la dovuta contribuzione agli enti di assicurazione sociale) ed il diritto al risarcimento di tale danno, ove l’infortunio sia avvenuto a seguito di sinistro stradale, si prescrive in due anni, ai sensi dell'art. 2947, comma secondo, cod. civ.</div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-21044395233030467262010-02-19T07:10:00.000-08:002010-02-19T07:11:37.419-08:00Il caso Mediaset - Youtube: inibire senza sorvegliareLa decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonchè quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.<br /><br /><br />Il Tribunale di Roma con il provvedimento dello scorso 11 febbraio ha confermato la decisione con la quale, il 23 dicembre scorso, nell'ambito di un procedimento cautelare in corso di causa promosso da RTI, aveva ordinato a Google di rimuovere da YouTube tutti i video del Grande Fratello 10 pubblicati e, soprattutto, di non consentire la pubblicazione di ulteriori video.<br /><br />La decisione del Tribunale affronta una delle questioni del diritto dell'internet oggi più dibattute ovvero quella relativa alla configurabilità di un obbligo di sorveglianza in capo all'intermediario della comunicazione nonché quella connessa ai costi di tale eventuale sorveglianza.<br /><br />Il Tribunale di Roma, infatti -nell'ordinanza resa in sede di reclamo- riconosce che su Youtube viene svolta un'attività di web hosting e, dunque, di intermediazione della comunicazione alla quale occorre applicare la disciplina sul commercio elettronico così come ammette che tale disciplina preclude di porre a carico degli intermediari della comunicazione un obbligo generale di sorveglianza.<br /><br />Ad un tempo, tuttavia, i Giudici hanno ritenuto che inibire all'intermediario di pubblicare, anche in futuro, contenuti analoghi a quelli oggetto del provvedimento di rimozione non violi tale principio.<br /><br />Si tratta di una conclusione che non convince e che appare "elusiva" rispetto al principio comunitario: non si ordina di sorvegliare ma si obbliga, per il futuro, a non pubblicare -rectius far pubblicare- nella piena consapevolezza che ciò ha per presupposto una sorveglianza preventiva.<br /><br />Nessuna norma dell'ordinamento italiano, tuttavia, sembra legittimare un'inibitoria di portata tanto ampia da abbracciare la pubblicazione di opere individuate solo nel genere sia nel presente che nel futuro.<br /><br />Lo stesso art. 156 della legge sul diritto d'autore, posto da RTI a fondamento delle proprie richieste, d'altra parte, nel riconoscere al titolare dei diritti la facoltà di agire anche contro l'intermediario -a prescindere, peraltro dalla responsabilità di quest'ultimo- per ottenere l'inibitoria della prosecuzione di una determinata condotta, stabilisce che tale previsione debba essere contemperata con le disposizioni contenute nella direttiva sul commercio elettronico e, dunque, tra le altre, anche con quella che esclude qualsivoglia obbligo di sorveglianza dell'intermediario.<br /><br />A ragionare diversamente, altro canto, le decisioni dei giudici in materia di proprietà intellettuale finirebbero -come peraltro accaduto in questo caso- con l'avere una portata generale ed astratta -analoga, nella sostanza a quella della legge- ed a reiterare il semplice contenuto di un precetto normativo: quello secondo il quale è vietata la pubblicazione di altrui contenuti in assenza dell'autorizzazione del titolare dei diritti.<br /><br />Sarebbe un pò come se -online o offiline- un giudice potesse ordinare ad un determinato soggetto di non violare mai più i diritti d'autore di un certo titolare.<br /><br />Si tratta, peraltro, di una questione della quale -proprio mentre i Giudici del Tribunale di Roma emettevano la propria decisione- veniva interessata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea.<br /><br />La Corte d'Appello di Bruxelles, infatti, con una Sentenza dello scorso 28 gennaio, ha chiesto ai Giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla compatibilità con la disciplina europea in materia di commercio elettronico di una norma nazionale che riconosca al giudice il potere di ordinare ad un intermediario della comunicazione di installare dei filtri preordinati a precludere lo scambio -da parte dei propri utenti- attraverso le piattaforme di P2P di materiale coperto dal diritto d'autore.<br /><br />La Sentenza belga è stata pronunciata nell'ambito dell'ormai famosa controversia insorta nel lontano 2004, che vede contrapposte la SABAM -la corrispondente belga della nostra SIAE- e la Scarlett, un internet service provider.<br /><br />Sebbene con i distinguo del caso le due controversie hanno forti momenti di contatto: in entrambi i titolari dei diritti d'autore hanno chiesto ed ottenuto -almeno in fase cautelare- che venisse ordinato agli intermediari della comunicazione di inibire la prosecuzione di una condotta posta in essere dai propri utenti nel presente come nel futuro.<br /><br />Tornando in Italia, invece, a questo punto, non resta che stare a guardare quali saranno le determinazioni dello stesso Tribunale di Roma in relazione alle modalità con le quali Google dovrà ottemperare all'ordine di inibitoria. Come già accaduto in Belgio nella richiamata controversia Sabam c. Scarlet, infatti, tale decisione è, probabilmente, più importante di quella di merito.<br /><br />Si tratta, infatti, di accertare chi debba pagare la tecnologia e le risorse necessarie a inibire la futura pubblicazione da parte degli utenti di ulteriori contenuti, quale percentuale di fallibilità della tecnologia da adottarsi sia ritenuta "scusabile" e, soprattutto, quali siano i contenuti di cui Google dovrà inibire la pubblicazione su Youtube.<br /><br />Sembra difficile sostenere -sebbene questa sia la posizione di una delle parti- che i costi dell'attività di prevenzione della pirateria audiovisiva sulla piattaforma o attraverso le infrastrutture di un intermediario possano essere poste carico di quest'ultimo perché sarebbe come ritenere che le fabbriche di armi siano tenute ad installare a proprie spese metal detector un pò ovunque per scongiurare il rischio che i loro prodotti siano utilizzati per scopi illeciti o, piuttosto, che la società autostrade sia tenuta a vigilare, a proprie spese, sull'eventuale utilizzo delle autostrade medesime per contrabbando o altre attività illecite.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-19237176047886464872010-02-02T05:43:00.000-08:002010-02-02T05:44:46.949-08:00Risarcimento con iva anche prima della riparazione del veicolo<a href="http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/cgi-bin/downloader.cgi?OPERA=33&FILE=1688.pdf">Cass. Civ. 27 gennaio 2010, n. 1688</a><br /><br /><br /><div align="justify"><br />Il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali e comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta, perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.<br />La Suprema Corte ribadisce il consolidato principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendenternente dagli esborsi materialmente effettuati.<br />Più in particolare ed in applicazione di questo stesso principio, è stato affermato che, poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per la riparazione del veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA pur se la riparazione non è ancora avvenuta -a meno che il danneggiato per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata- perchè l'autoriparatore per legge deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.<br />Con riferimento poi al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata a causa dell'impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione., è stato affermato che è possibile la liquidazione quantitativa di detto danno anche. in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo anche a prescindere dall'uso effettivo a cui esso era destinato. L'autoveicoio è, infatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore del veicolo.</div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-28223450138651692422009-12-03T00:45:00.000-08:002009-12-03T00:46:08.078-08:00Rc auto: anche la riconvenzionale deve essere preceduta dalla raccomandataCassazione civile , sez. III, sentenza 26.10.2009 n° 22597<br /><br /><div align="justify">Con la sentenza n. 22597 del 26.10.2009, la terza sezione della Corte di Cassazione interviene a regolare una questione procedurale di frequente verificazione in seno ai giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale enunciando un principio che, se pur riferito all’art. 22, l. n. 990/69 – applicabile ratione temporis ai fatti di causa – è senz’altro applicabile sotto l’attuale vigenza dell’art. 145 del <a href="http://www.altalex.com/index.php?idnot=9869">Codice delle Assicurazioni Private</a>.<br />Lo schema preso a riferimento dalla pronuncia è quello tipico in cui il proprietario e/o conducente di un veicolo citi in giudizio il proprietario del veicolo antagonista e la compagnia di assicurazione di quest’ultimo. Parte convenuta, costituendosi in giudizio, senza aver preventivamente richiesto il risarcimento con lettera raccomandata alla compagnia di assicurazione dell’attore, propone domanda riconvenzionale di risarcimento danni nei confronti dell’attore stesso, il quale – di conseguenza – chiama in garanzia il proprio assicuratore.<br />Nella fattispecie, peraltro, in sede di conclusioni il convenuto in riconvenzionale aveva esteso la propria domanda risarcitoria anche all’assicuratore di controparte, esercitando in sostanza l’azione diretta.<br />La Corte di Cassazione dichiara improponibile la domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto direttamente nei confronti della compagnia dell’attore, perché non preceduta dalla lettera di messa in mora e dal decorso dei canonici sessanta giorni di spatium deliberandi.<br />Sino a qui nulla quaestio: la pronuncia, infatti, si innesta nel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della proponibilità, l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore deve essere sempre preceduta dall’invio della lettera di messa in mora, anche nell’ipotesi in cui venga esercitata nella forma della domanda riconvenzionale.<br />La soluzione apprestata nelle precedenti pronunce al caso sopra prospettato, tuttavia, prevedeva che, ferma l’improponibilità dell’azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione, anche se esercitata in via riconvenzionale, rimaneva comunque pienamente ammissibile la domanda risarcitoria proposta dal convenuto nei confronti dell’attore in applicazione della regola generale sancita dall’art. 2054 c.c., nonché la conseguente domanda di garanzia proposta da quest’ultimo nei confronti della propria compagnia di assicurazione.<br />Sul punto, il principio enunciato da Cassazione 22597/09 è estremamente innovativo.<br />La Suprema Corte, infatti, stabilisce:<br />“la condizione di proponibilità della domanda (…) opera sia nel caso di azione diretta (…) che nella ipotesi di azione di responsabilità aquiliana, a norma dell'articolo 2054 cod. civ..<br />Infatti detta condizione di proponibilità è posta dalla legge senza distinzione fra le persone contro cui l'azione venga proposta, cumulativamente o singolarmente.<br />Deve, in linea di principio, essere dichiarata improponibile anche la domanda formulata ai sensi dell'articolo 2054 cod. civ. contro il proprietario ed il conducente del veicolo, qualora non sia stata promossa oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta di risarcimento all'assicuratore r.c.a.”<br />Secondo i Giudici di Piazza Cavour, in altri termini, chi sia stato convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale in relazione di un sinistro riconducibile all’area di applicazione dell’assicurazione obbligatoria, non può in nessun caso proporre una propria domanda di risarcimento danni in via riconvenzionale, se non ha preventivamente messo in mora la compagnia di assicurazione della controparte e non sia decorso il termine dilatorio previsto dall’art. 145 Cod. Ass..<br />La domanda riconvenzionale, in particolare, non potrà essere esercitata neppure nei confronti del proprietario e conducente sulla base delle regole ordinarie stabilite dall’art. 2054 c.c., in quanto a quest’ultimo – sembra potersi desumere dal tenore della decisione della Corte – sarebbe inibita, in assenza di regolare messa in mora della propria compagnia di assicurazione e del decorso del predetto termine, finanche la domanda di garanzia.<br />Si tratta, come è evidente, di un principio rivoluzionario, nella misura in cui afferma e riconosce a chiare lettere, in definitiva, che la disciplina dettata in tema di assicurazione obbligatoria e di azione diretta introduce una deroga alle regole generali che presidiano il sistema della responsabilità civile e, conseguentemente, le ordinarie regole del processo.<br />La conclusione alla quale giunge la Corte di Cassazione apre molteplici questioni, anche di teoria generale del diritto e del processo, che meritano senz’altro grande approfondimento.</div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-71228053298101605332009-05-25T04:31:00.000-07:002009-05-25T04:33:58.649-07:00Sui danni da insidia e responsabilità della P.A.Cassazione civile , sez. III, sentenza 09.04.2009 n° 8692<br /><br /><div align="justify"><br />Nel caso di danno cagionato da insidia non spetta all’attore provare la colpevole inerzia della Pubblica Amministrazione, essendo piuttosto onere di quest’ultima dimostrare di non avere potuto rimuovere la situazione di pericolo.<br />La Corte di Cassazione si pronuncia in tema di onere della prova nel caso di danno cagionato da un’insidia costituita da rocce semiaffioranti in un lago e non indicate nella carta nautica ufficiale.<br />Il ricorrente, la cui domanda risarcitoria era stata respinta prima dal Tribunale di Verbania e successivamente dalla Corte d’Appello di Torino, chiedeva il risarcimento dei danni subiti al motoscafo di sua proprietà a causa della collisione con un basso fondale non segnalato.<br />Le sentenze dei giudici di merito avevano respinto la richiesta risarcitoria sull’assunto che, pur essendo stata dimostrata l’esistenza di un’insidia nelle acque del lago Maggiore, tuttavia non era stato assolto l’onere della prova in relazione all’esistenza di un’inerzia colposa della Regione Piemonte nell’omessa indicazione di quello specifico pericolo.<br />Il ricorrente, tuttavia, impugnava la sentenza di secondo grado assumendo che il proprio onere probatorio si esaurisse nella dimostrazione della sola esistenza dell’insidia, essendo la prova di quest’ultima condizione necessaria e sufficiente per la declaratoria di responsabilità della P.A. ex art. 2043 cod. civ..<br />I giudici di legittimità accolgono la tesi del ricorrente, cassando con rinvio la sentenza impugnata, sul presupposto che nel caso di danni cagionati da beni di proprietà della P.A., qualora non sia applicabile, come nel caso di specie, l’art. 2051 cod. civ. in quanto venga accertata l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di utilizzo da parte di terzi, comunque è applicabile il disposto dell’art. 2043 cod. civ., che non limita in alcun modo la responsabilità colposa della P.A. a parte i casi di insidia e di trabocchetto.<br />In queste ultime circostanze, infatti, graverà sul danneggiato il solo onere di provare l’anomalia del bene demaniale, che costituisce fatto di per sé idoneo a configurare un comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità che l’utente si sia trovato nella possibilità di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità oggettiva di rimuovere la situazione di pericolo.</div><div align="justify"> </div><div align="center"><br />SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE<br />SEZIONE III CIVILE<br />Sentenza 9 aprile 2009, n. 8692Svolgimento del processo<br />1.1 Con ricorso notificato il 5 febbraio 1993 C.F. conveniva la Regione Piemonte innanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Torino, esponendo di essere proprietario di un'imbarcazione da diporto alla cui guida, in data ****, mentre navigava sul Lago Maggiore a ridotta velocità, era andato a urtare contro un basso fondale, sicchè il motoscafo era parzialmente affondato. Assumeva l'attore che degli ingenti danni riportati dal mezzo era responsabile la Regione Piemonte, non essendo la roccia nè visibile, nè segnalata, e ciò tanto più che la carta nautica ufficiale indicava in quel punto un fondale profondo due metri, laddove questo si era rivelato molto più basso.<br />Chiedeva pertanto il ricorrente la condanna dell'ente convenuto a risarcirgli i danni.<br />Costituitasi in giudizio, la Regione Piemonte eccepiva l'incompetenza per materia del giudice adito, essendo competente il Tribunale di Verbania.<br />Nel merito negava ogni responsabilità per l'incidente.<br />A seguito di dichiarazione di incompetenza del giudice adito, la causa veniva dal C. riassunta innanzi al Tribunale di Verbania che con sentenza del 7 giugno 2001, all'esito della compiuta istruttoria, rigettava la domanda.<br />Proposto gravame, la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 20 febbraio 2004 lo respingeva.<br />1.2 Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione C. F. affidando le sue doglianze a due motivi.<br />Resiste con controricorso la Regione Piemonte.<br />Il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l'accoglimento dell'impugnazione ai sensi dell'art. 375 c.p.c..<br />Entrambe le parti hanno depositato memoria.<br />Il ricorso è stato così avviato alla trattazione in camera di consiglio.<br />Nell'adunanza del 21 febbraio 2006 la Corte ha tuttavia rimesso la causa alla pubblica udienza.<br />C.F. e la Regione Piemonte hanno depositato una seconda memoria ex art. 378 c.p.c..<br />Motivi della decisione<br />2.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., e degli artt 112 e 115 c.p.c., contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere il giudice di merito erroneamente affermato che il C., pur avendo provato l'esistenza dell'insidia, non aveva diritto ad alcuna tutela risarcitoria, ex art. 2043 c.c., non avendo dimostrato la sussistenza di una situazione di inerzia colposa della Regione Piemonte nell'omesso posizionamento, in epoca precedente l'incidente, di indicazioni segnaletiche del basso fondale contro il quale era andato a collidere il motoscafo, laddove, per consolidato diritto vivente, per aversi responsabilità risarcitoria, ex art. 2043 c.c., della Pubblica Amministrazione, condizione necessaria e sufficiente è la sola prova dell'insidia. Conseguentemente, avendone il C. dimostrato l'esistenza, spettava all'ente convenuto provare di non aver potuto rimuovere la situazione di pericolo, laddove la Corte territoriale aveva erroneamente addossato al ricorrente anche l'onere di dimostrare che la Regione, benchè edotta del rischio, nulla aveva fatto. Siffatta conclusione era peraltro in contrasto con tutto l'impianto argomentativo della sentenza impugnata, la quale aveva correttamente affermato l'applicabilità agli enti pubblici dell'art. 2043 c.c., e aveva altresì mostrato di aderire ai principi in punto di distribuzione dell'onere della prova, enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156 del 1999.<br />Aggiunge anche il ricorrente che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, l'accoglimento del motivo attribuisce alla Corte, in applicazione della norma di cui all'art. 384 c.p.c., la facoltà di decidere il merito della causa.<br />Col secondo mezzo l'impugnante denuncia omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, con conseguente violazione dell'art. 2043 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5 perchè, anche ammesso che spettava al C. dimostrare, per essere risarcito, la colpevole inerzia dell'amministrazione, l'assunto difensivo della Regione, secondo cui l'esistenza di rocce semiaffioranti nel punto in cui si era verificato il sinistro, sarebbe stata nota a tutti, costituiva ammissione della conoscenza del fenomeno e segnatamente della discrasia tra situazione reale e dato cartografico. Del resto l'ente convenuto aveva inizialmente sostenuto che l'indicazione 2p riportata nella carta nautica segnalasse una profondità media di 2 metri, piuttosto che la profondità minima effettiva del lago in quel punto, così mostrando di versare in uno stato di ignoranza inescusabile in chi deve garantire la sicurezza della navigazione.<br />2.2 II primo motivo di ricorso è fondato.<br />L'insidia determinativa del danno del quale l'attore ha chiesto il ristoro era individuabile - ed è stata concordemente individuata dalle parti - nella esistenza di un basso fondale non segnalato nella carta nautica ufficiale del Lago Maggiore, che pacificamente indicava, nel punto in cui ebbe a verificarsi l'incidente, una profondità di almeno due metri.<br />Il giudice di merito, pur dando atto che siffatte indicazioni erano sbagliate, ha tuttavia ritenuto l'errore non addebitabile alla Regione, segnatamente rilevando che il documento, integrante la cartografia ufficiale dello Stato, proveniva dalla Marina Militare, alla quale conseguentemente incombeva la verifica della esattezza dei dati. In tale contesto, secondo la Corte territoriale, la domanda attrice avrebbe potuto essere accolta solo ove l'attore avesse dimostrato che l'ente convenuto conosceva la discrasia tra dati reali e risultanze cartografiche, prova che non era stata fornita, irrilevante essendo anche la delibera della Regione in data 15 aprile 1991, avente ad oggetto la collocazione di opere di segnalamento del pericolo rappresentato da bassi fondali e da rocce affioranti nel Lago Maggiore, in quanto adottata proprio a seguito dell'incidente per cui è causa.<br />Rileva il collegio che siffatto argomentare è in contrasto con lo schema ricostruttivo della responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica amministrazione accolto dal diritto vivente e al quale lo stesso decidente ha, in tesi, affermato di aderire.<br />Mette conto preliminarmente evidenziare che la navigazione lacuale rientra nell'ambito delle attribuzioni normative e amministrative conferite alle regioni dagli artt. 117 e 118 della Cost. Ed è significativo che proprio la Regione Piemonte abbia nel tempo difeso innanzi alla Corte costituzionale siffatte sue competenze contro atti dello Stato pretesamente lesivi delle stesse (confr. Corte cost. 25 luglio 1995, n. 378).<br />2.3 Ciò posto, è consolidata affermazione di questo giudice di legittimità che, in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l'impossibilità dell'effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l'ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall'utente, secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un'insidia o di un trabocchetto. Conseguentemente, secondo i principi che governano l'illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene, che va considerata fatto di per sè idoneo - in linea di principio - a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre incomberà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l'impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).<br />Non è superfluo aggiungere che siffatto ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il significativo avallo della Corte costituzionale la quale, chiamata a scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24 e 97 della Cost. degli artt. 2051, 2043 e 1227 c.c., ha ritenuto infondato il dubbio proprio in ragione della aderenza ai principi della Carta fondamentale del nostro Stato dell'interpretazione affermatasi nella giurisprudenza di legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del 1999).<br />2.2 Venendo al caso di specie, l'assunto secondo cui la verifica e la conseguente rettifica dei dati della carta nautica incombeva alla Marina Militare e che la Regione avrebbe potuto essere condannata a risarcire i danni derivanti dalla loro inesattezza solo ove fosse stato dimostrato che, pur essendone consapevole, era rimasta colpevolmente inerte, pone a carico all'attore un onere probatorio che esula dalla corretta applicazione dei principi in materia di damnum iniuria datum, spingendo l'area di esonero da responsabilità dell'ente pubblico ben oltre la soglia consentita dalla norma codicistica.<br />Non par dubbio infatti che la pertinenza della navigazione lacuale alla sfera delle competenze regionali comporta che della esattezza ed efficienza dei presidi volti a regolamentarla e a consentirne lo svolgimento in condizioni di sicurezza risponde tout court la Regione nel cui territorio ricadono le acque, salvo, naturalmente, il diritto dell'ente di agire in rivalsa nei confronti di chi abbia approntato quei dispositivi ove, per effetto della loro erroneità o insufficienza, esso sia stato chiamato a rispondere dei pregiudizi derivatane a terzi.<br />Ciò significa che non ha alcun rilievo, in questa sede, la circostanza, valorizzata dal giudice di merito, che la carta nautica proveniva dalla Marina Militare perchè la Regione, garante della sicurezza della navigazione, risponde, in via di principio, verso i terzi della discrasia tra dato reale e risultanze cartografiche, e ciò tanto più che queste erano basate su saggi effettuati nel lontano 1887 e che, contro ogni regola di prudenza, nessun aggiornamento era mai stato richiesto.<br />Infine non ricorrono le condizioni perchè la causa venga decisa nel merito, siccome richiesto dal ricorrente, essendo a tal fine necessari ulteriori accertamenti di fatto sull'entità dei danni e del conseguente risarcimento spettante al ricorrente.<br />Ne deriva che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale resta assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, la quale sì atterrà al seguente principio di diritto: accertata l'esistenza di un'insidia, nella specie costituita dalla discrasia tra situazione reale e dati cartografici in relazione a fondali di acque lacuali, ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'ente nel cui territorio ricade il lago, per danni subiti da terzi, non spetta all'attore dimostrare l'inerzia colpevole della Regione, essendo piuttosto onere di questa provare di non aver potuto rimuovere la situazione di pericolo.<br />P.Q.M.<br />La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo.<br />Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Torino in diversa composizione.<br />Così deciso in Roma, il 2 marzo 2009.<br />Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2009.</div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-40478999469495380782009-04-24T10:14:00.000-07:002009-04-24T10:16:36.873-07:00Cani randagi: per le aggressioni paga la AslCass. Civ. n. 8137 del 3 aprile 2009<br /><br />Se la legge regionale affida la lotta al randagismo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie locali il risarcimento dei danni spettante alle persone aggredite e morse da cani randagi è dovuto dalla ASL territorialmente competente.<br />La Suprema Corte ha accolto con sentenza n. 8137 del 3 aprile 2009 il ricorso presentato da un comune a cui veniva chiesto il risarcimento dei danni subiti da un ragazzino morso da un cane randagio.<br />La Cassazione ha precisato che «per omessa vigilanza sui cani randagi, la legittimazione passiva spetta all’azienda sanitaria locale, succeduta alla Usl, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento».<br />Tutto ciò si spiega dopo che il D.lgs. 502 del 1992 con la trasformazione delle Unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali ha mutato la configurazione giuridica di queste ultime considerandole non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per l’erogazione di servizi sanitari di competenza regionale.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-34997177111677455152009-02-20T01:13:00.001-08:002009-02-20T01:13:47.594-08:00Bollette telefoniche: legittimo l'addebito delle spese postali per l'invio della fatturaCassazione civile , sez. III civile, sentenza 13.02.2009 n° 3532<br /><br />Un cliente-consumatore conviene in giudizio Telecom Italia per ottenerne la condanna alla restituzione delle somme che nel tempo gli erano state addebitate come spese di spedizione postale della fattura dei costi del servizio telefonico. <p>Giudice di Pace e Tribunale accolgono la sua domanda ma la Cassazione ribalta la decisione.</p> <p>Secondo la Suprema Corte, infatti, il divieto di addebito a qualsiasi titolo delle spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità, previsto dall'art. 21 della legge Iva (DPR 633/1972), non riguarda le spese per la spedizione della fattura.</p> <p>La Cassazione precisa che l'attività di spedizione della fattura è solo eventuale, perché sostituisce la consegna a mano e può a sua volta essere sostituita dalla trasmissione via email, ma se le parti prevedono come forma di consegna della fattura la sua spedizione ed il costo ne è anticipato da chi la emette, il relativo rimborso non fa parte della base imponibile.</p>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-5460306690663432022009-02-13T12:26:00.000-08:002009-02-13T12:27:51.978-08:00Con il divorzio non si ha più diritto alla casa assegnata in sede di separazioneSentenza n. 2210 del 29 gennaio 2009<br /><br /><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 8.5pt; font-family: Verdana;" lang="IT">Il diritto a vivere nella casa di famiglia acquisito in sede di separazione cessa automaticamente con la sentenza di <span class="GramE">divorzio anche se</span> non vi sia stata espressa richiesta da parte dell’ex coniuge.<o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 8.5pt; font-family: Verdana;" lang="IT">Con la sentenza n. 2210 del 29 gennaio 2009 <st1:personname productid="la Suprema Corte" st="on"><st1:personname productid="la Suprema" st="on">la Suprema</st1:personname> Corte</st1:personname> ha respinto il ricorso di una donna a cui il Tribunale aveva ordinato di lasciare la casa di famiglia che le era stata assegnata in sede di separazione anche nel silenzio di specifiche disposizioni in merito nella sentenza di divorzio.<o:p></o:p></span></p> <span style="font-size: 8.5pt; font-family: Verdana;" lang="IT">I Giudici di legittimità hanno precisato che <span class="GramE">«</span>in linea di principio si osserva che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio comporta, col venir meno dello stato di separazione fra coniugi, la regolamentazione dei rapporti adottata nel precedente giudizio e quindi pure l’eventuale assegnazione della casa coniugale disposta in favore di uno dei due. Pertanto, anche <b style="">qualora la sentenza di divorzio non contenga alcuna disposizione al riguardo, il coniuge già assegnatario e comproprietario dell’immobile non ha più diritto all’utilizzazione esclusiva</b> ed i rapporti non possono che essere regolati dalle norme sulla comunione, finché ovviamente non intervenga una divisione, sia essa consensuale o giudiziale<span class="GramE">»</span>.</span><br /><st1:personname productid="la Suprema" st="on"></st1:personname>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-82957947614707887272009-02-03T05:57:00.000-08:002009-02-03T05:59:04.249-08:00Il terzo trasportato può agire direttamente contro il responsabile del sinistro e la sua assicurazione<div align="justify">La compagnia assicuratrice dell'auto responsabile del sinistro sosteneva che, ai sensi dell’art. 141 del d.lgs. 209/2005, l’azione per il risarcimento del danno subito dal terzo trasportato andasse proposta nei confronti dell’impresa di assicurazione del vettore.<br /><br /><strong>La decisione</strong></div><strong><div align="justify"><br /></strong>L’art. 141 del d.lgs. 209/2005, in realtà, non reca alcuna espressa preclusione al diritto del terzo trasportato di agire nei confronti del conducente del veicolo antagonista e della relativa compagnia assicuratrice, ai sensi degli artt. 2043 e 2054 c.c. e dell’art. 144, cc. 1 e 3 del c.d.a. Interpretazione peraltro conforme al dettato dell’art. 76 Cost., atteso che la legge delega 229/2003, nel dettare i principi ed i criteri direttivi del nuovo codice delle assicurazioni aveva prescritto, tra l’altro, l’adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie ed agli accordi internazionali, e considerato, ai sensi dell’art. 4-quinquies della Direttiva 2005/14/CE, un diritto di azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro.</div><div align="justify"> </div><div align="justify"><a style="FONT: bold 12px Arial" href="http://www.scenari.giuffre.it/psixsite/CIVILE/Assicurazione%20obbligatoria%20e%20sinistri%20stradali/La%20fattispecie1_doc_psix/Giudice%20di%20pace%20Bari.mht" target="attach">Giudice di pace Bari, Sentenza 20 Novembre 2008 , n. 14532</a></div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-47495728330242798372008-12-19T07:58:00.000-08:002008-12-19T07:59:37.516-08:00Corte di Cassazione n° 10651/08 – viaggi “tutto compreso” – responsabilità del tour operetor – 24.04.08.La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, rigettando il ricorso presentato da un tour operetor, ha confermato la sentenza di accoglimento emessa in primo grado dal Giudice di Pace di Roma e ribadita in appello dal Tribunale, in materia di viaggi cd. “tutto compreso” e risarcimento del “danno da vacanza rovinata”. La Suprema Corte ha, tra l’altro, affrontato la problematica relativa all'esonero del professionista dalla responsabilità, nel caso in cui la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore ovvero dipende da fatto imprevedibile o inevitabile del terzo o da forza maggiore o caso fortuito. CORTE DI CASSAZIONE I Saz. Civile – Sentenza n. 10651/2008 Svolgimento del processo F.A. e C.G. agivano in giudizio nei confronti della s.p.a. "I Viaggi del V. " deducendo di aver acquistato un soggiorno "tutto compreso" nell'isola di Djerba, in Tunisia, in un villaggio turistico "V. ". La vacanza era stata compromessa dalle condizioni di impraticabilità del mare durante tutto il loro soggiorno a causa dello scarico abusivo compiuto da una petroliera. Gli attori lamentavano la mancata adozione da parte del tour operator di misure idonee a fornire loro servizi alternativi durante il soggiorno e chiedevano di essere indennizzati per il danno loro derivato a causa di tale comportamento della società convenuta. Il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 647/00, accoglieva la domanda liquidando, in favore degli attori, il danno nella complessiva somma per entrambi di L. 1.400.000, pari alla metà del costo della vacanza. Proponeva appello la società "I Viaggi del V. " e il Tribunale di Roma, con sentenza n. 548 9/03, confermava la decisione del Giudice di pace. Il Tribunale, dopo aver rilevato che il contratto intercorso fra le parti aveva avuto ad oggetto un soggiorno nel villaggio balneare di Djerba della V. secondo la formula del pacchetto turistico "tutto compreso" (c.d. package tour) e che le condizioni del mare furono durante il soggiorno compromesse in modo gravissimo dallo scarico abusivo di una petroliera al largo della costa tunisina, affermava che le condizioni di impraticabilità del mare avevano comportato l'impossibilità per l'organizzatore del viaggio di fornire una parte importante della prestazione. Riteneva infatti il giudice dell'appello che il soggiorno aveva perso di utilità a causa delle condizioni di impraticabilità del mare e, conseguentemente, applicava il D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 12, comma 4, che ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva comunitaria n. 314/1990/CEE. Secondo tale disposizione normativa, nel caso in cui, dopo la partenza, una parte dei servizi previsti dal contratto di viaggio "tutto compreso" non può essere effettuata, l'organizzatore è tenuto a predisporre adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato oppure a rimborsare il consumatore nei limiti della differenza fra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate, salvo il risarcimento del danno. Nella specie il Tribunale ha riscontrato che l'operatore turistico non aveva adempiuto all'obbligo di attivarsi per offrire al cliente soluzioni alternative nè aveva offerto una parziale restituzione del prezzo. Contro la sentenza del Tribunale di Roma ricorre per cassazione con due motivi la spa I Viaggi del V. . Si difendono con controricorso e depositando memoria ex art. 378 c.p.c.. F.A. e C.G.. Motivi della decisione In primo luogo va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso, ex artt. 365 e 83 c.p.c., proposta da parte dei controricorrenti con riferimento all'autentica della procura effettuata da un avvocato non cassazionista. Sul punto la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile sezione 2^ n. 23994 del 27 dicembre 2004, Rv. 578501) ha chiarito che la mancata certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della firma da parte del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione, costituisce mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura "ad litem", sia perchè tale nullità non è comminata dalla legge, sia perchè detta formalità non incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche ragioni e prove, l'autografia della firma non autenticata. Con il primo motivo di ricorso la società "I viaggi del V. " lamenta la mancata applicazione del D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 17, che prevede l'esonero del professionista dalla responsabilità di cui agli artt. 15 e 16 del decreto, nel caso in cui la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore ovvero dipende da fatto imprevedibile o inevitabile del terzo o da forza maggiore o caso fortuito. Peraltro nella specie la ricorrente contesta che vi sia stata esecuzione parziale del contratto dato che i signori C. e F. hanno usufruito comunque, oltre al viaggio, dell'alloggio, del vitto e dei servizi accessori. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e si rileva in particolare che la sentenza impugnata si contraddice laddove pur riconoscendo il carattere eccezionale ed imprevedibile dell'evento non ne trae le logiche conseguenze. Per altro verso rileva la ricorrente che non sono state valutate le circostanze per cui i sigg.ri C. e F. non hanno presentato nel corso del soggiorno alcuna lamentela e sono stati i soli clienti che, relativamente al periodo in questione, hanno proposto un'azione risarcitoria. I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione logica e giuridica. Come è stato messo in evidenza, sia in dottrina che in giurisprudenza, il viaggio tutto compreso (noto anche come travel package o pacchetto turistico) costituisce un nuovo tipo contrattuale nel quale la "finalità turistica" (o, con espressione più generale, lo "scopo di piacere") non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell'interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente fine del godimento della vacanza per come essa viene proposta dall'organizzatore del viaggio (c.d. tour operator) e accettata dall'utente (si veda in particolare Cassazione civile sezione 3^, n. 16315 del 24 febbraio 2001, Rv. 598453). Si è parlato nella letteratura di commercializzazione in sé della vacanza, esprimendo, in tal modo, il rilievo causale che assume il bene immateriale della vacanza definita dall'insieme degli elementi che consentono all'utente di godere di un periodo di riposo e di svago orientato su una precisa formula proposta dall'organizzatore del viaggio. A tale ricostruzione della causa contrattuale si è pervenuti in considerazione della ratio della disciplina normativa di origine comunitaria (direttiva CEE/90/314) che è fortemente improntata dalle finalità di tutelare il diritto del consumatore a fruire effettivamente della vacanza offerta sul mercato dall'operatore turistico e di consentirgli la facoltà di recedere dal contratto nel caso in cui la fruizione dei servizi caratterizzanti l'offerta si rendano indisponibili sia prima che dopo lai partenza. Per altro verso la disciplina di recepimento della direttiva comunitaria, attualmente trasposta nel codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. da 82 a 100), assicura agli imprenditori la possibilità di perseguire la conservazione del contratto mediante offerte alternative e ai consumatori l'opportunità di non subire o ridurre il danno derivante dalla mancata o inesatta esecuzione della prestazione che costituisce nel suo complesso il pacchetto turistico. Di particolare rilievo, sotto questo profilo, quanto previsto dall'art. 91 del codice del consumo per l'ipotesi in cui, dopo la partenza, una parte essenziale dei servizi previsti dal contratto non può essere fornita. In tale ipotesi dell'art. 91, comma 4, prevede che l'organizzatore predispone adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato, non comportanti oneri di qualsiasi tipo a carico del consumatore, oppure rimborsa quest'ultimo nei limiti della differenza tra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate, salvo il risarcimento del danno. Il comma successivo prevede poi che, se non è possibile alcuna soluzione alternativa o il consumatore non l'accetta per un giustificato motivo, l'organizzatore gli mette a disposizione un mezzo di trasporto equivalente per il ritorno al luogo di partenza o ad altro luogo convenuto e gli restituisce la differenza fra il costo delle prestazioni previste e quello delle prestazioni effettuate fino al momento del rientro anticipato. La controversia in esame pone alcuni problemi interpretativi concernenti specificamente le disposizioni citate contenute nell'art. 91. In primo luogo va chiarita con riferimento a tale disposizione l'estensione del concetto di servizi che costituiscono una parte essenziale della prestazione turistica a carico dell'organizzatore di viaggi. In secondo luogo ci si deve chiedere se il comportamento, cui l'imprenditore è tenuto in base alla norma in discussione, presupponga che l'impossibilità di fornire, dopo la partenza, i servizi costituenti parte essenziale della prestazione derivi solo da fatto ascrivibile all'imprenditore stesso. Infine deve valutarsi se l'imprenditore sia esente dall'osservanza delle prescrizioni della norma in esame qualora l'impossibilità di fornire i servizi derivi da caso fortuito, forza maggiore o fatto ascrivibile a un terzo che abbia i requisiti dell'imprevedibilità e inevitabilità. Quanto al primo punto deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente posto la questione interpretativa che caratterizza la presente controversia rilevando che sebbene la fruizione del mare e della spiaggia non possa essere considerata in senso stretto un servizio turistico tuttavia è evidente che essa costituisce il presupposto di utilità del pacchetto turistico. Da questa logica considerazione deriva che è eccessivamente restrittiva una lettura dell'espressione servizi come prestazioni direttamente dipendenti dall'attività e dalla struttura imprenditoriale dell'organizzatore del viaggio. In ogni caso è eccessivamente restrittivo, se si tiene conto della descritta ratio ispiratrice della direttiva comunitaria, un campo di applicazione dell'art. 12 del decreto legislativo, e attualmente dell'art. 91 del codice del consumo, limitato alle sole ipotesi in cui l'esecuzione del contratto è impedita o fortemente pregiudicata da fattori che rientrino nel potere di controllo del tour operator. Se, per esempio, si considera l'ipotesi di un viaggio organizzato è evidente ritenere che il venir meno di una linea di trasporto pubblico che avrebbe dovuto consentire di raggiungere una certa località costituirà, oggettivamente, il venir meno di un servizio essenziale per il programmato svolgimento del viaggio cui l'organizzatore dovrà comunque supplire, ad esempio, con il ricorso a mezzi di trasporto propri o privati. Deve ritenersi quindi logica e coerente alla ratio della direttiva comunitaria una interpretazione che renda applicabile la norma anche quando a venir meno non sono i servizi riconducibili all'attività del tour operator ma piuttosto i presupposti estrinseci della vacanza che rendono rilevanti e utili i servizi offerti dal tour operator. Il metro di valutazione per l'applicazione della norma deve essere quindi quello dell'utente dei servizi che ha diritto a fruire attraverso di essi a quelle utilità tipiche del soggiorno, della vacanza o del viaggio che il tour operator ha posto sul mercato. In queste utilità rientrano ad esempio le possibilità di accesso alle attrattive ambientali, artistiche o storiche che sono alla base della scelta da parte del turista di acquistare quello specifico pacchetto turistico sicchè la impossibilità di accedere ad esse costituisce il venir meno di un presupposto essenziale di utilizzazione del servizio che l'organizzazione e la struttura ricettiva dell'organizzatore del viaggio mettono a disposizione del consumatore. Nella specie sembra rispondente a tale interpretazione riconnettere alla fruibilità di un mare di particolare bellezza e attrattività come quello dell'isola di Djerba il carattere di presupposto essenziale del servizio tale da costituire una parte essenziale della prestazione turistica perchè strettamente connesso all'ubicazione e al richiamo commerciale del villaggio presso cui era programmato il soggiorno. Sotto questo aspetto la motivazione del giudice di merito appare dunque congrua e conforme a una lettura della norma che tenga conto di quella rilevanza causale che la vacanza assume nel c.d. travel package. Senza che sia possibile attribuire alcun vizio, di insufficienza o incongruenza, alla motivazione che non ha tenuto conto né dei mancati reclami immediati degli odierni controricorrenti, né della mancata proposizione di azioni giudiziali da parte degli altri soggiornanti. Il disposto dell'art. 91 del codice del consumo non autorizza certo a prefigurare una sorta di acquiescenza del consumatore alla mancata attivazione dell'organizzatore tale da giustificarla e renderla non sanzionabile. La risposta al primo quesito che ci si è posti rende più agevole quelle ai due quesiti successivi. Infatti tali risposte sono coerenti alla prima se si ha come punto di orientamento nell'interpretazione della disciplina comunitaria la sua funzione ispiratrice primaria. Quella di tutelare il godimento di un bene (la vacanza) che riveste un particolare valore esistenziale nella vita delle persone che dedicano la maggior parte del loro tempo al lavoro. Sicché il legislatore è intervenuto per garantire la corrispondenza fra aspettativa di svago, riposo, evasione, apprendimento che una vacanza può fornire e offerta commerciale proveniente dal tour operator. Ovviamente quest'ultimo non potrà garantire, per esempio, la soddisfazione spirituale o estetica che il consumatore si era prefigurato di trarre da quella vacanza ma sarà tenuto a garantire i servizi che almeno teoricamente possono attribuire quel piacere del viaggio o del soggiorno che il consumatore ha percepito come il valore specifico e determinante dell'offerta commerciale dell'organizzatore e, per quanto si è detto in precedenza, sarà tenuto ad adoperarsi quando il presupposto di utilizzabilità dei servizi sia venuto a mancare. In questa prospettiva non vi è alcuna ragione, né alcuna ragione testuale in particolare, per ritenere che gli obblighi di predisporre adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato (non comportanti oneri di qualsiasi tipo a carico del consumatore), oppure di rimborsare quest'ultimo nei limiti della differenza tra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate, non sussistano nel caso in cui i servizi previsti non siano fruibili per fatto non imputabile al tour operator. Quest'ultimo assume infatti un obbligazione di risultato (cfr.Cassazione Sez. 3^, Sentenza n. 21343 del 09/11/2004, Rv. 578572) con la stipulazione del contratto di viaggio o soggiorno tutto compreso e di tale risultato è tenuto a rispondere. Il legislatore comunitario e nazionale hanno ovviamente limitato questa responsabilità del tour operator per renderla compatibile con il carattere economico della sua attività. In questa prospettiva opera già l'opzione, prevista dell'art. 91 del codice del consumo, comma 4, fra la offerta di servizi alternativi o quella del rimborso della differenza fra prestazione originariamente prevista e prestazione effettuata. In questa prospettiva va letto anche l'esonero di responsabilità previsto dall'art. 96 del codice del consumo (che riproduce il testo del D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 17). Tale esonero di responsabilità non si riferisce però alla prestazione di servizi alternativi o agli obblighi del tour operator (previsti dall'art. 91 per le ipotesi di modifiche delle condizioni contrattuali), come pretenderebbe la società ricorrente, ma si riferisce invece alla responsabilità per danni derivanti dall'inadempimento o dalla inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico (responsabilità disciplinata dagli artt. 94 - 95 del codice del consumo). Ne risulta quindi che la causa dell'inadempimento, o inesatto adempimento, delle prestazioni previste nel pacchetto turistico resta indifferente, se si ha riguardo agli obblighi e diritti derivanti dalla disciplina delle modifiche delle condizioni contrattuali di cui all'art. 91 del codice del consumo. Al contrario il tour operator non sarà responsabile per i danni ascrivibili all'inadempimento o inesatto adempimento qualora dimostri la sussistenza delle condizioni per l'esonero di responsabilità previsto dall'art. 96. Una estensione della disciplina dell'esonero agli obblighi derivanti dall'art. 91, deve invece escludersi oltre che per ragioni testuali anche per l'evidente contrasto che si verificherebbe con la ratio della disciplina comunitaria e con lo stesso principio fondamentale sancito in questa materia dall'art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che prevede come fine istituzionale dell'Unione un elevato livello di tutela dei consumatori. Tale elevato livello di tutela consiste proprio, nella specie, nell'irrilevanza della causa del venir meno delle condizioni di utilizzabilità dei servizi previsti nel contratto di soggiorno tutto compreso e ciò al fine di impedire che eventi estranei alla responsabilità del consumatore e del tour operator comportino l'esonero di responsabilità di quest'ultimo per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'art. 91 del codice del consumo. Esonero che comporterebbe una ripartizione del rischio per gli eventi esterni alle specifiche prestazioni delle parti a totale carico del consumatore. Con l'adempimento di tali obblighi il legislatore ha invece previsto una serie di meccanismi che possono qualificarsi come strumenti di riequilibrio della sinallagmaticità del contratto e di tutela dell'effettività di una prestazione avente un rilevante valore immateriale per il consumatore. La finalità e l'operatività stessa di tali strumenti è quindi intrinsecamente incompatibile con la valutazione della responsabilità del tour operator per la causazione di quei fattori esterni che comportano l'inutilizzabilità o la ridotta utilizzabilità dei suoi servizi. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. <br /><div align="center">P.Q.M.</div> La Corte: Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00, per spese, con spese generali e accessori di legge.Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6157888250964919522.post-49841759925597198042008-11-27T14:18:00.000-08:002008-11-27T14:19:34.670-08:00Cassazione Civile: nell'intervento adesivo autonomo si possono proporre domandeCorte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 16 ottobre 2008, n.25264<br /><br /><div align="justify">Il terzo che interviene in un processo, qualora il proprio intervento si possa definire come adesivo autonomo, può proporre proprie autonome domande sino alla precisazione delle conclusioni, fatte salve le preclusioni dei mezzi istruttori. La Cassazione ha così ribadito il proprio orientamento che era stato contrastato dal tribunale di merito. Secondo la Cassazione, infatti, "Sostenere che l'interveniente adesivo autonomo, vale a dire il terzo che interviene nel processo tra altre persone per far valere in confronto di alcune di esse un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo (art. 105 primo comma cpc), possa farlo sino a che non vengano precisate le conclusioni (come dispone l'art. 268 primo comma cpc), ma senza poter proporre proprie autonome domande per le preclusioni poste dagli artt. 183 e 184 cpc alla facoltà delle parti originarie del processo di compiere determinati atti (come quello di proporre domande nuove), significherebbe di fatto vanificare qualsiasi valore ed utilità processuale all'istituto degli interventi contemplati nel suddetto primo comma dell'art. 105 cpc (quello principale e quello litisconsortile), nei quali fondamentale ed ineludibile risulta invero l'attività assertiva del volontario interveniente a tutela dei propri diritti.In altre parole, è evidente che l'aver consentito normativamente che i predetti interventi del terzo nel processo potessero effettuarsi sino al momento di precisazione delle conclusioni perderebbe ogni significato logico-giuridico ove non fosse consentita contestualmente - secondo l'interpretazione dell'art. 268 cpc che qui si contrasta - la formulazione della domanda, che costituisce l'essenza stessa degli interventi in questione. In realtà, con il termine "atti" utilizzato dal citato art. 268 il legislatore ha inteso certamente fare riferimento esclusivamente all'attività istruttoria che l'interveniente dovrebbe svolgere, in conseguenza della domanda proposta, a dimostrazione del diritto vantato, nel senso che, avvenuta la formulazione definitiva delle richieste istruttorie delle parti originarie del processo, resta preclusa all'interveniente la facoltà di espletare ulteriore e diversa attività istruttoria".Sono altresì prive di pregio le preoccupazioni espresse dal tribunale circa profili di illegittimità costituzionale della lettura della norma sopra esposta: "in virtù del principio che l'interveniente nel processo non può svolgere attività istruttoria preliminare e probatoria che la fase eventualmente avanzata del processo stesso non consenta più alle altre parti originarie e, pertanto, della soggezione del terzo alle preclusioni già formatesi tra le parti in causa, la formulazione della domanda da parte del terzo medesimo non può comportare per definizione alcun ritardo nei termini di decisione della causa stessa o, a maggior ragione, lesione del contraddittorio, dovendo la domanda suddetta essere decisa alla stregua delle prove già acquisite in atti senza poterne espletare altre e svolgendosi comunque l'intervento del terzo in un giudizio in cui le altre parti interessate sono già regolarmente costituite o sono state messe in grado ritualmente di farlo".</div>Studio Legale La Pianahttp://www.blogger.com/profile/05521087712278221080noreply@blogger.com